In archivio un’edizione 2016 decisamente positiva, malgrado i cervellotici blocchi per le visite del presidente e del premier e il solito sciocchezzaio comunicativo sparso.
Siamo sopravvissuti anche al nostro ventottesimo Vinitaly, il cinquantesimo della serie.
E’ stata, a detta di tutti, un’ottima edizione commercialmente parlando. E questa è la cosa più importante.
Migliorati mi sembra organizzazione e servizi, a parte alcune inspiegabili rigidità (la security bloccava agli ingressi fino alle 9.30 anche gli espositori dotati di pass che per ovvie ragioni di stand necessitavano di entrare prima dell’orario ufficiale, con l’argomento che in coda “tra voi ci sono anche furbi che provano a passare in anticipo“: come se non fosse compito loro individuarli, mah!) e i problemi cronici di traffico e di parcheggio.
I cellulari però funzionavano e le wireless pure.
Peccato poi, ma non credo sia tutta colpa degli organizzatori, che al Vinitaly la gente ci vada per lavorare e non per assistere alle passerelle del presidente Mattarella e del premier Renzi. I quali, dando un colpo ferale alla propria già modesta popolarità, hanno invece pensato bene di visitare la fiera in due giorni diversi, con doppie, chilometriche transennature di sicurezza (“I muri dividono” ha del resto appena sentenziato a mezzo stampa il capo delle Stato, no?) che per ore hanno letteralmente tagliato in due l’area fieristica, impedendo a lungo il passaggio della gente da una parte all’altra della medesima. Gente che non ha certamente apprezzato (eufemismo) la forzata e dannosa prigionia.
Rimane poi vivo, nonostante i decenni di teorica esperienza, il dramma della comunicazione, perchè il Vinitaly a volte sembra davvero la palestra degli orrori professionali.
Non ce l’ho con l’efficiente ufficio stampa della fiera, ma con certi colleghi veri o presunti.
Non mi piace, lo premetto, infierire su quelli che sbagliano (a chi non è capitato?), nè sulla scarsa professionalità di qualcuno (che però sarebbe dovuta e dovrebbe essere pretesa). E so bene che, durante il Vinitaly, per un giornalista essere alluvionato di inviti e comunicati fa parte del gioco.
E’ brutto però leggere strafalcioni grotteschi, assistere a esternazioni capziose e inutili (quindi controproducenti), vedere errori grossolani. Non me ne vogliano i protagonisti ma, cito del tutto a memoria, chi se ne frega se “un bioviticoltore su quattro è laureato“, che notizia è? E non vi pare lapalissiano che un certo vino sia il “protagonista assoluto” dell’evento che i suoi stessi produttori hanno organizzato per celebrarlo, dandogli pure come titolo il nome del vino stesso? Si doveva forse parlare d’altro? Tu intanto, per essere serio e arrivare al punto, ti sei sciroppato l’ovvia pappardella.
Insomma, nonostante questo ce l’abbiamo fatta. Naturalmente saltando venti appuntamenti su venticinque, un convegno interessante su due e cinquanta visite di cortesia sulle sessanta programmate.
E’ il Vinitaly, bellezza.