Pubblicato da poco in italiano il capolavoro di Abel Posse, impressionante affresco di un cammino attraverso l’immensità del mondo e gli abissi della propria identità. A cavallo tra romanzo odeporico e psicanalisi, tra geografia e mito.

Comincia come un avvincente romanzo di guerra, di viaggio e di avventura. Finisce come un gomitolo letterario srotolato disordinatamente tra le sabbie pulviscolari e i deserti del nulla, intriso dei deliri onirici di un protagonista vanamente illuso di essere a un passo dalla meta, ma in realtà sempre più consumato, avvitato nei grovigli della propria mente, sospeso tra i lucidi vaneggiamenti dell’ideologia e la razionale follia di chi, nel perdersi, ha smarrito anche il tempo, la dimensione, lo spazio, la stessa identità. Tutt’intorno c’è un mondo irto di simboli che, prese le mosse dalle certezze racchiuse nella penombra claustrofobica del nido dell’aquila hitleriano, si rivela via via sempre più gigantesco, incontrollabile, sfuggente: dai furiosi monsoni di Singapore alle folle miserabili di Calcutta, dai contrafforti himalayani alle vette vertiginose delle montagne, dal gelo degli altopiani tibetani alla desolazione delle praterie mongole, tutto si mostra in un crescendo inafferrabile e incombente, al cospetto del quale il minuscolo, pur motivatissimo uomo, con il suo misero bagaglio di mistica, di scienza e di fiancheggiatori illusi e confusi quanto lui, scompare a poco a poco, ben prima di giungere alle porte della Cina e del Takla Makan, sede della mitica città sotterranea di Agartha, il “centro dei poteri”.
E’ qui che, nel 1943, sotto le mentite spoglie di un capitano inglese preso prigioniero e fucilato ad hoc, il colonnello delle SS Walther Werner viene inviato in missione segretissima, nel disperato tentativo di riacquisire al Reich le forze occulte necessarie a capovolgere le sorti ormai segnate della guerra.
E’ un consapevole salto nel buio e un inconsapevole, ma irreversibile taglio col passato e con la vita, per una sfida destinata a arenarsi nell’inezia delle sue premesse e nella cieca, insormontabile incapacità di comprendere dell’occidentale Werner.
Un autentico capolavoro “Il viaggiatore di Agartha”, edito nel 1989 il lingua originale ma pubblicato solo adesso in italiano da Tre Editori (16 euro, 220 pagine). Il libro che – per la sua intensità e per la sua capacità di condensare l’incommensurabile – qualunque scrittore di viaggio vorrebbe essere capace di scrivere. L’autore è Abel Posse, scrittore e diplomatico argentino (Buenos Aires, 1934).