A BTO 2015, la fiera (molto web marketing oriented) del turismo che si è chiusa ieri a Firenze, si sono sfiorati il Ministro Franceschini e il profeta di Slow Food, Petrini. Ne è scaturito una sorta di dibattito involontario, a distanza, sull’ottimismo e la felicità.
Soundtrack: “Message in a bottle“, Police.
Ieri alla BTO di Firenze erano di scena il Ministro del Turismo Dario Franceschini, in visita istituzionale, e il guru di Slow Food, Carlin Petrini, per un talk show condotto dal direttore del TG2, Marcello Masi, sul tema “felicità” (in relazione, si auspicava almeno, al viaggiare).
I due non si sono incontrati, credo. Ma quasi in omaggio al fil rouge scelto per questa edizione della rassegna – “Sincronicity“, come il disco dei Police – sono apparsi tra i padiglioni pressochè in contemporanea. Ambedue solcando ali di folla: di politici, funzionari e giornalisti il primo, di fedeli adoranti il secondo.
Della coppia nessuno, per molte ragioni, mi è molto simpatico, ma li ho ascoltati volentieri.
E poi li ho guardati in faccia.
Chiedendomi un po’ ironicamente come persone dall’espressione così cronicamente patibolare avrebbero potuto essere capaci di esprimere il messaggio di fiducia e di ottimismo per il quale, in fondo, erano lì.
La risposta è stata no, non potranno.
E infatti non hanno potuto.
Nel caso del ministro, funzione di per sè non avvantaggiata da un’aura di solarità (anche a prescindere dalla facies di chi la riveste), l’effetto è dovuto alle notizie tecnico-politiche che egli ha rilasciato durante un’affollata conferenza stampa. Conferenza nella quale, nel tempio dell’ipertecnologia, mancava grottescamente il microfono: il povero Franceschini ha così dovuto urlare, in un assedio di microfoni, che la sua fiducia nella ripresa del sistema turistico italiano risiede nella crescita internazionale registrata nel 2015 e nella riforma costituzionale che, nel 2016, dovrebbe riequilibrare in materia i poteri tra Stato e regioni, oggi troppo sbilanciato a favore delle seconde. A chi gli ha chiesto come pensava di provvedere al fatto che l’Italia sia piena di “evasori” che affittano in nero appartamenti ai turisti (8mila gli alloggi destinati alla ricettività extralberghiera nella sola Firenze), lui ha risposto che “nessuno evade se non ci sono norme che regolano un’attività” e che “troveremo un modo ragionevole di tassare in modo equo ed eguale le diverse forme di attività esistenti“. Appuntamento agli stati generali del turismo di Pietrarsa ad aprile, quando saranno convocati per discutere insieme tutti gli operatori italiani del settore.
Insomma bastone e carota, richiami al mercato globale e alla necessità di competere, ad bonus e sicurezza. Con effetti grigi sull’umore.
Molto più scoppiettante l’omelia del furbo e navigato Carlìn Petrini, abile a suscitare gli applausi nel pubblico dal palato facile e stipato in sala al punto da abbivaccarsi per terra pur di ascoltare le profezie del santone di Bra.
Il quale da un lato si è schermito, ammettendo onestamente di non avere risposte a certe domandone, tipo se la felicità è qualcosa di condivisibile o di strettamente individuale. Mentre dall’altro ha ripetuto con tono affabulatorio le solite cose un po’ strabiche sulla contrapposizione tra “contadini” (categoria alla quale egli ascrive, con evidente forzatura, tutta l’agricoltura) e industria, il potenziale rivoluzionario dell’alleanza tra contadini (sempre loro) e web, la nostalgia della “vecchia Italia ‘bottegaia’ che però ci raccontava il cibo che mangiavamo” (segue estatico applauso) o per la “mia amata sinistra che però non dice più cose di sinistra ma è concentrata sulla crescita“.
Tutte cose in parte pure condivisibili. Ma che sconcertano quando ad evocarle sono quelli che, come Petrini, cinquant’anni fa ce la misero tutta per distruggere proprio il modello di società “bottegaia e contadina” che pervadeva ogni fibra d’Italia. Per non dire di altre affermazioni, anche queste in teoria condivisibili (“vendere non è la felicità“, “nell’ultimo viaggio i soldi non contano nulla, lo dice anche il Papa“, “la rete fisica e spirituale tra le persone è più importante di quella digitale“, “l’economia non è un fine bensì un mezzo“) suonate quasi surreali in una fiera supercommerciale e iperconnessa, ideata, pervasa, plasmata – e non c’è nulla di male in questo – sul marketing scientifico più spinto.
Così alla fine mi sono posto anch’io qualche domanda.
Mi sono chiesto che c’entrasse la felicità vagheggiata di Petrini col turismo e come mai si faccia tanta fatica a distinguere il turismo dal viaggiare. Mi sono chiesto a quali artifici di ipocrisia si debba ricorrere per far finta che il turismo non sia un’industria e non obbedisca a norme di economia industriale. E mi sono chiesto a che serva fingere che non sia proprio grazie agli interstizi che la grande industria turistica lascia all’interno del suo poroso sistema che certe nicchie di turismo di qualità o “diverso” possono vivere. Dando a tanta gente la sensazione che il mondo sia esattamente quello descritto dai Police: “walked out this morning / don’t believe what I saw / a hundred billion bottles / washed up on the shore / seems I’m not alone at being alone / a hundred billion castaways / looking for a home“.
Oppure, come si direbbe parafrasando Claudio Lolli, “ho visto anche i naufraghi viaggiare felici“.