Il Consorzio del Chianti organizza uno stimolante confronto per testare l’incontro tra Chianti, Montecristo e formaggi. Combinazione affascinante: a patto però che si smetta di parlare di abbinamenti in sè e li si suggelli in un simposio vero.
Da osservatore di molte cose che non pratico, o che pratico solo molto raramente (fumo, superalcoolici, etc), mi chiedo spesso in cosa consistano i piaceri e le sensazioni che i praticanti affermano invece di provare.
Per questo, dopo l’interessante esperienza dell’anno scorso a base di sigaro cubano Cohiba e vinsanto del Chianti (qui), all’Harry’s Bar di Firenze ieri mi sono accostato con molta curiosità alla seconda, ancora più impegnativa – ma, viste le componenti, a me anche più vicina – seduta: sigaro Montecristo, Chianti docg Riserva e formaggi.
Questo, per gli appassionati, il dettaglio: Burrata di Andria igp affumicata, Pecorino Sardo dop 10 mesi, Monte 27 12 mesi e Stravecchio foglia di castagno 18 mesi; Chianti docg riserva 2013, Chianti Colli Senesi 2012 e Chianti Rufina Riserva 2009.
“L’abbinamento – ha spiegato Luca Alves, responsabile eventi del Consorzio – è stato studiato per garantire un climax di intensità e complessità, dunque le consistenze, le trame, gli aromi e i sapori sono stati pensati per compensarsi ed esaltarsi reciprocamente. La fumata di un sigaro si divide virtualmente in tre terzi, durante i quali l’evoluzione e la combustione del manufatto varia e cresce di intensità. La prima è più semplice e morbida, la seconda già piena e robusta, la terza intensa e persistente. Il Montecristo è una marca dal gusto medio forte. Abbiamo scelto di abbinarci il Chianti Riserva che ha per qualità, caratteristiche e versatilità la virtù di potersi abbinare con una vasta gamma di formaggi ed esaltare certe triangolazioni col sigaro cubano”.
Si è appreso poi, prima di addentrarsi tra oniriche volute di fumo, che del prossimo Festival Habanos di Cuba (27/2-3/3), il Consorzio Chianti sarà di nuovo partner ufficiale e che, delle 500mila bottiglie di vino importate annualmente nell’isola caraibica, 10mila (un quinto del totale dall’Italia) sono di Chianti. “Investiamo in promozione lì da 2012 – ha commentato il presidente Giovanni Busi – e il trend è in netta crescita“.
Orbene, ma la degustazione, o meglio la fumata degustatoria com’è andata?
A mio modestissimo parere, assai bene. Grazie al contesto gradevole e al palpabile coinvolgimento dei convenuti (“…qui si usa il sigaro come se fosse una forchetta“, ha acutamente chiosato, ad esempio, Adua Villa).
La seconda cosa che più mi ha colpito è stato il travaso di armonie – l’armonia e l’equilibrio, cioè, che gli elementi in gioco si sono dimostrati in grado di trasmettere come causa-effetto, a prescindere da quale dei tre si iniziasse la delibazione – che ha creato la piattaforma teoricamente perfetta per lo sviluppo di un simposio vero e proprio.
La mancanza del quale è ciò che, invece, più di tutto mi ha colpito.
Mi spiego: ma perchè quest’atmosfera suadente, salottiera, frusciante, ricca di sentori intensi e cangianti, di sensazioni organolettiche progressive, di magnifici sapori ed odori, di convergenze oronasali, mi sono chiesto, dev’essere costretta a restare al centro della scena e del dibattito, sotto ingombranti riflettori, anzichè adempiere alla sua funzione più alta, naturale e auspicabile, ovvero a costituire il soffuso tappeto su cui innestare un simposio reale, una conversazione intellettuale, un dibattito letterario, una dissertazione filosofica, un racconto di viaggi lontani, un confronto pacato ma fertile di idee? Perchè sprecare l’opportunità di riflessione in un semplice parlare di sensi?
Non credo affatto che il dissertare distragga dall’apprezzamento sensoriale. E viceversa: anzi!
Il godimento intrinseco che provoca una situazione di armonica convivenza è infatti il combustibile ideale per accendere il dialogo, per alimentare i ragionamenti. Quello fornito dal trittico Chianti, sigaro avana e formaggi mi è parso addirittura perfetto.
Le suggestioni che affiorano sarebbero tante, dalle reminiscenze platoniche agli esperimenti lisergici di Ernst Junger e Albert Hoffmann.
Ma anche senza volare così in alto, rimango dell’opinione che la magia degli abbinamenti rimanga più qualcosa di cui tacitamente godere che di cui un po’ vacuamente parlare.