Era 1995 quando sollevai il problema della copertura assicurativa dei giornalisti in missione per conto di una testata. Mi dettero del visionario. Ora la manovra Tremonti lo ribalta e ci impone una polizza a favore degli editori. Giusta, forse. Ma il punto originario resta irrisolto.

Si dice che piove sempre sul bagnato. Ma il fondo umido è più pericoloso ancora, perchè si scivola senza preavviso. Esattamente come rischia di succedere adesso con una nuova norma che senza dubbio risolve un problema, ma a senso unico. Si tratta della copertura assicurativa obbligatoria per i giornalisti, inserita nella manovra finanziaria (DL 138/2011) convertita in legge mercoledì scorso dal Senato.
Nella parte che interessa gli ordini professionali, al Titolo II (liberalizzazioni, privatizzazioni e altre misure per favorire lo sviluppo), art.3 (abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche), comma 5, al punto e) trovo infatti cose interessanti, che riporto testualmente:
punto e): a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”.
Chiosa al riguardo l’Ordine dei Giornalisti: “N.B.: la norma prevede l’obbligo di stipulare un’assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale. Sicuramente questa norma esplicherà efficacia su coloro che esercitano l’attività giornalistica autonomamente (freelance), mentre è da verificare la generalizzazione dell’obbligo per tutti gli iscritti all’Ordine. Da notare che è previsto un ruolo specifico dei Consigli Nazionali e degli enti previdenziali di categoria (es.: INPGI).
In pratica: sull’onda della poco liberale ma dilagante abitudine americanoide di citare tutti in giudizio per qualunque cosa e di agire costantemente con l’avvocato in tasca, uso amatissimo dai politici, protagonisti in anni recenti di una palese attività intimidatoria verso la stampa attraverso richieste di risarcimenti milionari, anche noi ci dobbiamo adeguare per evitare di trovarci in mutande dopo una sentenza sfavorevole.
Come? Attraverso un’assicurazione obbligatoria. Tipo gli automobilisti, insomma: giustamente, lo Stato non vuole correre il rischio che, in caso di incidente, il responsabile non sia in grado di pagare il dovuto risarcimento, con i conseguenti disagi economici, legali e sociali per le parti, e gli impone di stipulare una polizza.
Il principio in sé non è sbagliato, ma mi fa sollevare alcune domande. Eccole:
1) “La norma esplicherà efficacia – nota l’OdG – su coloro che esercitano l’attività giornalistica autonomamente (freelance), mentre è da verificare la generalizzazione dell’obbligo per tutti gli iscritti all’Ordine”. Ciò significa che i contrattualizzati sarebbero esentati dall’obbligo? E/o che l’editore dovrà avere una polizza-ombrello che copra anche i dipendenti? Oppure che dovrà provvedere l’editore ad assicurare questi ultimi? Se così fosse, mi parrebbe una palese disparità di trattamento tra redattori e autonomi: dal momento in cui il giornale mi dà un incarico e io lo accetto, fino all’espletamento io lavoro per il giornale, quindi dev’essere l’editore a pagarmi la copertura assicurativa pro tempore.
2) “Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”. Che vuol dire “possono”? O devono, come mi pare opportuno, o è impensabile che il singolo possa contrattare siffatte polizze in termini individuali, se non a costi assolutamente insostenibili. OdG e Inpgi come e quando pensano di attivarsi?
3) …e soprattutto: ma alle responsabilità del committente verso il giornalista libero professionista (o il collaboratore, o l’abusivo, o il cococo) non ci si pensa mai? Quanti di noi hanno affrontato, su mandato di una testata, incarichi professionali faticosi, pericolosi, o anche facili e brevi, ma sui quali l’imprevisto incombe. Parlo di incarichi formali, con regolari lettere di accredito, lavoro organizzativo e di segreteria svolto dalla testata. Perchè il committente (a prescindere dalla personale polizza che, come libero professionista, dovrei sempre e saggiamente stipulare per me stesso) non dev’essere tenuto a coprirmi dai rischi, o almeno a condividerli, dal momento e nel momento in cui, per un determinato periodo, svolgo un incarico per suo conto?
Nel lontano 1995 provai ad affrontare l’argomento con i miei committenti di allora e arrivammo non lontani da una possibile soluzione, finchè gli acutissimi manager della casa editrice non mi misero alla porta.
L’idea era questa: interpellare primarie compagnie assicurative e farsi preparare delle polizze infortuni da inserire obbligatoriamente negli accordi contrattuali tra il giornalista e la casa editrice. Essendo estesa a tutti i collaboratori, avrebbe interessato una quantità di persone tale da rendere ragionevolmente economico il premio, il quale avrebbe potuto diventare ancora più conveniente se il meccanismo fosse stato esteso anche ad altre testate e case editrici. Gli accordi da me prospettati avrebbero previsto una formula tipo contributo previdenziale, cioè con una quota a carico dell’editore e una a carico del professionista, proporzionale al compenso pattuito, al tipo di incarico, alla sua durata, alla quantità e qualità del lavoro richiesto. Chi, nell’ambito di una committenza da 10 giorni all’estero in zone disagiate, non avrebbe sacrificato volentieri alcune decine di euro a fronte di una polizza infortuni integrativa (e magari estensiva rispetto ai rischi, come ad esempio danni all’attrezzatura o al bagaglio, la perdita del materiale raccolto, etc)?
Tutti, certamente. O almeno chiunque dotato della capacità professionale e dell’esperienza necessari per lo svolgimento di certi incarichi.
Ma il discorso non cambiava per il freelance-cronista di quotidiano: chi non avrebbe rinunciato a tre euro in cambio dell’assicurazione sui danni al motorino, o sugli infortuni, o sul computer portatile?
Era solo questione di lungimiranza e di professionalità. Un certo ruolo avrebbero potuto giocarlo le associazioni di giornalisti e l’Fnsi.
Sono passati 16 anni e noi siamo ancora a parlarne (anzi, in molti non ci hanno mai nemmeno pensato).
Ora, come un fiume carsico, la legge arriva a regolamentare l’assicurazione obbligatoria dei giornalisti nei confronti degli editori. E va bene. Ma il contrario?
Vorrà pur dire qualcosa, no?