Ripubblicato il disco uscito nell’88 a nome di Massimo Altomare, ma in realtà scritto e suonato anche da Roberto Terzani e dallo scomparso Ernesto De Pascale, che ne fu pure il produttore. Un tuffo nel funky-spaghetti-soul che De Pascale amava. Che c’entra Dylan? Scopritelo leggendo.
Ho passato oltre un mese e mezzo a osservare attonito la copertina di questo cd, chiedendomi che c’entrasse “Il grande ritmo dei treni neri” di Altomare/Terzani/De Pascale, da poco ripubblicato da Il Popolo del Blues, con il Nobel a Bob Dylan.
Onestamente, non mi pareva che c’entrasse nulla. Ed era dal 13 ottobre, giorno dell’annuncio del premio al cantautore, che rimandavo l’articolo, perchè qualcosa mi diceva che invece un nesso c’era.
Neanche il recente “gran rifiuto” di Zimmy a presenziare alla cerimonia del 10 dicembre e il rimando al 2017 mi avevano però schiarito le idee: il fil rouge continuava a sfuggirmi.
Poi, ieri sera, miracolo: i conti mi sono tornati, come avrebbe detto Clint Eastwood a Lee Van Cleef in “Per qualche dollaro in più”
Dal passato quasi remotissimo si è levata prima un’ombra, quindi qualche sillaba, dunque due parole, infine il ricordo sfuocato di un pomeriggio della primavera del 1981 in via Vittorio Emanuele, a Firenze: casa del Depa.
Siamo io, Ernesto e forse Leonardo Bonechi. Il De Pascale è seduto alla scrivania della sua stanza, tappezzata di dischi ovviamente, dove si arrivava attraverso una singolare scala a scalini singoli. Io sono in piedi, accanto alla porta. Leonardo non lo so, ma ne sento la voce. Strano: non c’è musica. Nell’angolo, una specie di scultura in cartone (opera forse dello stesso Ernesto?) chiamata “Implosione“.
Stiamo tutti sbeffeggiando e infamando Claudio Cecchetto, all’epoca sulla cresta dell’onda con il mai abbastanza esecrato “Gioca Jouer” (qui).
A un certo punto, chiedo agli amici: “Ma fino a quando dovremo sopportare tutto questo?”.
E il Depa: “Fino a quando non daranno il Nobel a Bob Dylan“.
Ecco che c’entrava!
Sette anni dopo, quando cominciavamo a perderci di vista, Ernesto De Pascale era nella redazioni di Doc, la celebre trasmissione musicale di Renzo Arbore in onda sulla Rai e ricchissima di ospiti importanti del r&b, genere nel quale il nostro sguazzava. Sguazzava anche negli Hypnodance, il gruppo che io stesso (dall’esterno, sia chiaro!) avevo tenuto a battesimo nel 1984 e che, più tardi, si consolidò nel trio Ernesto De Pascale – Roberto Terzani – Massimo Altomare.
Insomma era il 1988, per gli studi si aggirava gente come Dr John e i Memphis Horns, Ernesto andava pazzo per lo spaghetti-soul venato di funky. E siccome lui era, gli va riconosciuto, anche un grande aggregatore, ecco che nacque l’idea di fare un disco molto black, ma anche molto italiano. Prodotto (e suonato) da Ernesto, scritto dal duo Terzani-Altomare e cantato da quest’ultimo, con il contributo per l’appunto di Mac Rebennack, Wayne Jackson e Andrew Love.
Titolo, secondo me depascalianissimo: “Il grande ritmo dei treni neri“, che uscì su vinile a nome del solo Massimo Altomare ed è stato ora ristampato in formato cd a nome dei tre, in omaggio al produttore scomparso nel 2011.
Anche la musica è depascalinissima e credo di poterlo dire con cognizione di causa: Ernesto amava certe sonorità funky e un po’ dance che spesso mimava di suonare (quando non poteva farlo realmente), piene di piano elettrico e di tastiere sintetiche, molto uptempo, ricche di controcanti, orecchiabili ma ben arrangiate e soprattutto ben suonate. Quante volte l’ho visto sul palco in certe su tipiche movenze, a dispetto della mole.
Tutte cose che ho risentito e ritrovato in questo disco molto anni ’80 ma che, a quasi un trentennio di distanza e al netto dal mio coinvolgimento personale, suona ancora fresco e capace di rimescolare le influenze, le tendenze, le circostanze, i ricordi, le storie, le atmosfere.
E che, ironia della sorte, esce di nuovo proprio nell’anno del Nobel a Bob Dylan. Quando, di Cecchetto, non si ricorda più nessuno. Bello pensare che l’antica profezia si sia avverata, anche se troppo tardi per darne atto a chi la pronunciò.