I colleghi pensano che “giornalista” indichi un lavoro preciso, con le relative prerogative, ma spesso per l’opinione pubblica non è così. E i fatti lo dimostrano.

 

Mi invitano a un evento professionale e mi chiedono di riempire il modulo per l’accredito on line. Solite cose: indirizzo, telefono, email.

Alla voce “testata” metto, come sempre, freelance. Per due ragioni che mi paiono ovvie.

Primo: io sono effettivamente un libero professionista, quindi lo dichiaro. Secondo: per correttezza e trasparenza non mi accredito mai per un giornale senza preventiva autorizzazione dello stesso.

Passano ventiquattr’ore e mi arriva un’email di risposta con la quale mi si prega di “precisare” il mio ruolo, perchè per l’accredito all'”area stampa” della manifestazione la qualifica di freelance “non è ammessa“.

Confesso: ho avuto un attimo di perplessità e sono andato pure a rivedermi la modulistica. Nessuna traccia di inammissibilità per i liberi professionisti (mi sarebbe parso strano assai), mentre si specifica che l’accredito è necessario per accedere agli “spazi riservati” ai giornalisti.

E siccome io sono un giornalista, qual è il problema visto che, oltretutto, l’invito me l’hanno mandato loro?

Mi si insinua però un sospettuccio che avevo inutilmente tentato di ricacciare nella sentina dei retropensieri.

Vuoi vedere, mi sono detto, che per “area stampa” non s’intende quella effettivamente riservata ai “giornalisti” ma il solito buglione allargato dove, sotto l’ambigua rubricazione “media”, si stipano colleghi, -er di varia natura,  produttori di pubblicità, imbucati a cui non si può dire di no eccetera? E che la precisazione sul mio ruolo professionale era necessaria per capire quale delle figure appena elencate fosse attribuibile a me?

Infatti mi arriva a stretto giro una replica in bilico tra l’educato, l’imbarazzato e il piccato ove si dice che non si mette in dubbio la mia professionalità ma che, essendo il sistema degli accrediti on line insidioso in quanto, attraverso di essi, chiunque può millantare qualunque cosa, gli organizzatori hanno bisogno di verificare.

Dal loro punto di vista l’esigenza era pure comprensibile (fino a un certo punto almeno, visto che volendo puoi selezionare). Com’è ovvio ho replicato conciliativamente, sottolineando che mi pareva una tempesta in un bicchier d’acqua: per sapere chi è giornalista e chi no basta infatti consultare l’albo, che è pubblico e in rete.

La cosa è finita lì ma lo scambio ha fornito l’ennesima prova di un fatto inconfutabile, uno dei tanti sui quali la nostra categoria non è capace di mettere a fuoco: se si smette di parlarci addosso e si va nell’arena della pubblica opinione, non sarà difficile accorgersi che la gente della figura del giornalista ha un’idea non solo poco buona, ma pure molto sfumata. Diciamo opaca o perfino evanescente. Comunque molto diversa da quella che abbiamo di noi stessi.

Il che è anche peggio.