Interessante, su “Conquiste del Lavoro” (il quotidiano della CISL) e sul blog “letaschepiene.it” (qui), il commento di Elia Fiorillo a proposito del congresso dell’Fnsi di Bergamo. Che coglie tutte le contraddizioni della Federazione, tranne la grottesca autoasseverazione della sua pretesa “unitarietà”
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dice in sintesi Fiorillo, esce dall’assise con in mano poco più di un libro dei sogni, conseguenza dell’assenza di pragmatismo, della cronica scelta di operare più come soggetto politico che strettamente sindacale (ciò che ne limita da un lato la reale autonomia e dall’altro la credibilità di interlocutore imparziale) e dell’altrettanto cronica mancanza di sintonia (il “patto storico”) con il sindacalismo confederale (Cgil, Cisl, Uil, Ugl). Molta attenzione alle petizioni di principio, sottolinea, ma poca alla realtà della professione giornalistica e alla sua mancanza di prospettive, stretta da un lato da quei “ladri di sogni” che sono gli editori-sfruttatori e, dall’altro, dal disinteresse dei papaveri della professione che – un po’ per menefreghismo, un po’ per opportunismo, un po’ per collusione – a loro volta affossano la deontologia, uccidono l’informazione e si trasformano anch’essi in ladri di sogni dei più giovani colleghi, relegandoli a vita nel limbo del precariato, delle speranze tradite, dei pagamenti irrisori.
“Divisioni così – continua – non servono. Il sindacato unico ed unitario dei giornalisti, per rimanere tale, ha bisogno di essere e di apparire libero […]. I giornalisti italiani che percepiscono reddito sono 49 mila. Di questi, 22 mila sono dipendenti e 27 mila autonomi. Ma il dato sconvolgente è che troppi giornalisti autonomi percepiscono complessivamente 5 mila euro lordi all’anno. Questi dati devono far riflettere un po’ tutti e soprattutto la dirigenza del sindacato. Solo con l’unità vera e non di facciata è possibile provare a combattere il precariato infinito del giornalismo italiano, che si traduce in ultima analisi in precarietà dell’informazione”.
Fin qui, poco da eccepire. Sì, però…
Quello che però Fiorillo sembra non aver colto, nella sua idea – comprensibile, ma errata – di sincretismo sindacale, è la grottesca contraddizione insita in quel doppio e autoreferenziale aggettivo “unico ed unitario” di cui, aprioristicamente, l’Fnsi si fregia.
L’Fnsi non è nulla di tutto questo. Non è unitaria: le insanabili, paralizzanti spaccature al suo interno lo dimostrano. Non è nemmeno unica: per fortuna, anche se tardivamente, altre più piccole ma meno evanescenti sigle sindacali si affacciano al proscenio. Soprattutto non è rappresentativa: dei 49mila suddetti, appena il 40% dei contrattualizzati e ben meno del 10% degli autonomi è iscritto. Non per pigrizia, superficialità, negligenza, avarizia. Ma perché, dalla notte dei tempi, il sindacato “unico ed unitario” dei giornalisti non si è mai occupato (nè, chiacchiere a parte, si occupa o è in grado di occuparsi oggi) di quella fetta di operatori dell’informazione che è cresciuta all’inverosimile e che, nel 2011, produce il 70% dell’intero “pubblicato” nazionale: liberi professionisti, autonomi, precari, pubblicisti (e anche aspiranti, sedicenti, lestofanti da cui non si sa né si vuole liberarsi). Una massa che, con la complicità dell’OdG, si è lasciata crescere nella totale sinecura, selvaggiamente abbandonata a se stessa e che ora, tracimante di rabbia, sfoga la sua (giustificatissima) sfiducia delegittimando nei fatti, cioè non aderendovi, il sedicente “sindacato unico ed unitario” dei giornalisti.
Ecco perchè, invece di auspicare un’unità che non solo non è nei fatti, ma ormai neppure nei sogni, per i giornalisti forse bisognerebbe sperare nella disgregazione di un sistema monosindacale tanto artificioso quanto anacronistico. E soprattutto esiziale per ciò che resta della categoria.