Anni fa, per sfuggire agli agguati dei predicatori ambulanti, mio zio affisse sul campanello un avviso: “No Geova”.
I risultati furono nulli: quelli suonavano lo stesso o, ben che andasse, suonavano a tutti gli altri campanelli del condominio privi del monitorio avviso.
Questa farsa del GDPR, dell’alluvione di email correlate e di una privacy formale incompatibile tanto con la realtà di una riservatezza da tempo perduta, quanto con le abitudini e gli istinti della gente (che i guru del web marketing conoscono benissimo), mi pare somigliare all’iniziativa estemporanea di mio zio armato di scotch e pennarello.
Le spie digitali sono già in casa tua e nei tuoi account. Che tu per scacciarli debba prenderti la briga di leggere i messaggi, individuare l’eventuale, minuscolo “unsubscribe” o peggio ancora controscrivere, è una pietosa utopia foderata di ipocrisia.
Il 90% degli avvisi informa che, “per continuare a ricevere le comunicazioni”,’ basta non fare nulla, ovvero esattamente ciò che la quasi totalità degli interpellati farà, prima di annoiarsi del tutto e cancellare automaticamente ogni messaggio che abbia per oggetto “GDPR”.
Si sarà così ottenuto il risultato desiderato: data una verniciata di formale legalità, tutto resta com’è e i testimoni di Geova informatici potranno continuare a suonare i loro campanelli.
Ma l’authority sarà contenta e noi avremo inutilmente sprecato altre ore del nostro tempo.
Più che privacy, ci vorrebbero privazioni.