Con l’eccezione di chi a scuola bazzicava il latinorum, la stragrande parte degli italiani ha appreso dell’esistenza della parola “bonus” giocando a flipper.
l flipper, che in inglese peraltro si dice pinball, erano tutti in lingua albionica e molti erano quindi convinti che anche “bonus” lo fosse, ma almeno, grazie a Dio e all’istinto anglobecero, pronunciavano il termine correttamente, forse anche perchè non riuscivano a capire come si sarebbe dovuto pronunciare nell’altro idioma (“midia” e “plas” erano per fortuna ancora di là da arrivare).
Imperversava invece tra i giocatori il “vov”, come il liquore, che nei bar nostrani dava vita fonetica all’enigmatico “wow” ogni tanto lampeggiante sul bigliardino inclinato.
In ogni caso “bonus” significa incentivo, premio, liberalità non dovuta ma concessa.
La cosa mi è tornata in mente notando che, a due mesi dalla teorica sacadenza, del famoso bonus governativo di maggio pro autonomi non c’è ancora traccia.
Qualcuno dirà che manca il decreto interministeriale bla bla: bella scoperta.
Resta il fatto che il flipper del governo – ovvero il libro di testo su cui gran parte degli attuali politici deve aver studiato – è l’unico al mondo pieno di bonus, ma dove la palla non va mai nella buca giusta, cioè quella del cittadino.
