Le aspettative sono un curioso stato d’animo in base al quale, spesso, senza aver capito bene di che si parla o con chi, né perchè, si crede avverranno cose di un peso, un’importanza, un’eco, conseguenze ed effetti sproporzionatamente superiori a ogni pur logico ottimismo.
Quasi nessun settore della vita ne è immune.
Di norma le aspettative peggiori vengono però generate dalla micidiale miscela di inconsapevolezza dei propri limiti e di tendenza cronica a visioni cinematografiche della realtà.
Ne derivano abbagli epici.
Fai due chiacchiere a cena con uno sconosciuto e, contro ogni ragione, già ti pare di aver intuito che grazie a quest’incontro la tua vita professionale avrà sviluppi decisivi.
Lei, che magari è pure bella ben oltre la tua portata, ti rivolge un distratto sorriso e due parole in tram e tu già vagheggi notti torride, amori romantici o perfino nozze, pargoli e lieto fine. Dopodichè passi settimane cercando di capacitarti del perchè non succeda nulla di quanto immaginato. E, anzi, ti risenti, recrimini e protesti per l’imprevisto.
A me è capitato giorni fa di cadere vittima di una delle più pericolose tipologie di aspettativa altrui, quella mediatica: ho chiesto una banale informazione giornalistica e il mio interlocutore non solo ha inteso che volessi intervistarlo, ma da subito è stato certo che il committente fosse il NYTimes per una pubblicazione in prima pagina. Ha quindi messo in moto una terrificante campagna propagandistica e parentale preannunciando l’imminente celebrità.
Poi, con calma e le giuste parole, tu gli spieghi che le cose stanno diversamente, ma lui non è che non comprenda. No, proprio non ti ascolta.
Dopodichè sparisce.
Amen.