Di qua giornalisti-puttane, di là quelli che “decodificano” le interviste. Proteste-show di OdG e Fnsi contro Di Maio, mentre Lele Mora compra l’Unità. Per carità, va benissimo. Ma resterà tutto com’era. E per far finta di niente scenderemo nel gorgo muti.

 

E così ieri mattina si è tenuto il famoso flash mob dei giornalisti per protestare contro le infelici parole di Di Maio e Di Battista sulla categoria.
Non so quanti fossero ma, sebbene dissenziente tanto sull’iniziativa quanto sulle motivazioni, spero siano stati parecchi, anche se ne dubito. Per fortuna, almeno, sull’argomento non si accavallano i proverbiali numeri della prefettura e degli organizzatori. Al massimo circola qualche cifra contraddittoria sui social.
Temo che tutto questo dimostri, però, nè l’una e nè l’altra delle buone ragioni delle contrapposte parti, bensì l’inutilità di una protesta espressa in quei termini e in quei modi.
Ci voleva una reazione, certo.
Ma meno politicamente connotata e più sostanziale. Di gente in piazza col foglietto in mano e il tesserino su Facebook non c’è, nè c’era, bisogno.

Dio solo sa quanto ami il mio lavoro e abbia sempre difeso la categoria. E come, non difendendola adesso che è indifendibile, la difenda comunque.
Però avrei voluto un colpo di reni. Una protesta vibrante nei fatti. Una stretta, un attacco. Domande più incalzanti di prima. Conferenze stampa senza sbadigli e con la penna tra i denti. Insomma la dimostrazione di una categoria viva, per quanto in crisi e divisa al suo interno.
Non mi pare – e mi ci metto io per primo – che abbiamo superato la prova.
Registrate solo le solite cadute dal pero.
Si scopre che Di Maio è iscritto all’OdG e dalla Campania si preannuncia l’avvio di procedimenti disciplinari.
E’ uno scherzo? E che male può fare a Di Maio una censura o perfino un’espulsione? Tanto per citare i primi che mi vengono in mente, anche Fini e Veltroni sono (o erano? Non ho voglia di controllare, ma non importa, non è questo il punto) iscritti all’Ordine dei Giornalisti. Nel paese dei giornali di partito, ovvio che nessuna norma vieti ai politici di fare i giornalisti. Meno ovvio che, sebbene esista l’obbligo deontologico dei giornalisti da astenersi dal fare politica, tantissimi la facciano e perfino in modo militante. E non mi si dica che il collega pentastellato con le sue parole ha infangato e offeso la categoria: la infanghiamo ogni giorno pubblicando marchette e veline, siamo seri.
Il punto vero era un altro: dimostrare che, al di là delle opinioni personali, c’era una coesione professionale.
Ma nessuno dentro e fuori il flash mob l’ha fatto notare nè pare curarsene.
Peccato, un’altra occasione perduta e un altro scalino disceso verso la masochistica autodissoluzione di una professione già disinnescata dalla montante dilettantizzazione.
Quello che dispiace non è il rammarico di noi vecchi della professione, che in qualche modo il nostro cammino l’abbiamo fatto e abbiamo forse fatto in tempo a vedere anche qualche bagliore di gloria della categoria, ma lo smarrimento di massa dei più giovani, nel mezzo al guado di un lavoro che non va più da nessuna parte. Nè da quella di un reddito dignitoso, nè su quella della tanto evocata, e assai meno praticata, “schiena diritta“.
Tutto questo accade – ovviamente per caso, ma il destino è sempre beffardo e manda comunque segnali involontari – a pochi giorni di distanza dal caso clamoroso di un giornalista famoso come Giulietto Chiesa e dell’intervista rilasciata dall’ex presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem a Cnbc, poi “decodificata” da Chiesa su Pandora TV. “Il tuo video tarocco è stato pubblicato con entusiasmo dal profilo Facebook dei 5 Stelle Europa“, gli ha fatto notare sul Corriere Fabrizio Roncone. “Apprezzano l’informazione non omologata“, ha replicato lui.
Poi arriva la Palombelli e annuncia che Lele Mora (sì, quel Mora lì) ha intenzione di comprare l’Unità (sì, quell’unità lì).

Allora chi ha ragione?