Cronaca dal meeting dei giornalisti precari e autonomi in corso alla kermesse del capoluogo umbro. Tra molti sogni infranti e alcuni sonni profondi. AGGIORNAMENTI IN (QUASI) DIRETTA…

Diceva Goya che il sonno della ragione genera mostri.
Il problema e’ che il mostro della miopia genera sogni. Cioe’ illusioni. Una spirale onirica dalla quale e’ difficile svegliarsi. E la riprova si ha qui, a Perugia, dalla Sala dei Notari dove mi trovo e dove – nell’ambito del Festival Internazionale del Giornalismo – si sta svolgendo l’atteso meeting dei coordinamenti dei giornalisti precari. Una sorta di “continuazione” del vertice tenutosi in autunno per la “Carta di Firenze“.
Con un intruso: io.
No, non che sia un clandestino. O un infiltrato.
Sono stato anzi regolarmente invitato e messo pure tra i relatori.
Ma mentre attendo di ascoltare gli interventi dei colleghi, mi pare d’essere Bruce Chatwin. E mi chiedo: “Io che ci faccio qui?”.
Invece lo so bene che ci faccio. E l’atmosfera e’ più frizzante del previsto…

10.32: si parla della Carta di Firenze e ci si lamenta della sua inapplicazione. Ma e’ un errore. La carta e’ uno strumento deontologico, l’affermazione di un principio, un “messaggio” lanciato al sistema. In cio’ sta la sua importanza. Essa pero’ e’ anche come il braccio di una tenaglia: se manca l’altro braccio, l’attrezzo e’ inutilizzabile. E il braccio mancante e’ quello contrattuale, che dà effettività economica alla presa.

11.40: il 60% del pubblicato ogni giorno viene da giornalisti esterni alle redazioni, ma costoro non rappresentano che una minima percentuale di chi “comanda” nelle istituzioni giornalistiche. Questi esterni vengono poi raffigurati come un’entità vaga, dai confini ameboidi, e catalogati sotto il termine generico di “precari“, che nuoce moltissimo alla comprensione della natura fortemente differenziata della professione giornalistica. La sottolineatura delle diversità è decisiva per la messa a fuoco delle esigenze e dei problemi da risolvere.

13.00: come immaginavo, alcuni miei commenti sul fatto che 1, 3, 10 euro a pezzo sono dei non-compensi in quanto produttivi di non-reddito, fanno discutere. Ma resto dell’idea che questa sia una professione, non una missione. Ne’ una vocazione da assecondare ad ogni costo. Il giornalista e’ un professionista, cioe’ uno che campa del proprio lavoro. Se non è cosi’, si tratta di un hobby costoso. Nobile quanto si vuole. Ma un hobby, che nè la legge nè il dottore ordinano di fare. Anche perchè, altrimenti, occorre essere mantenuti da altri.

13.50: i succhi gastrici hanno la meglio, meeting concluso con risultati, lo dico esplicitamernte, apprezzabili: discussioni, qualche polemica ben gestita, scambi di idee, reciproci chiarimenti, attenzione in sala. Doveva essere una baruffa, è stato un convegno ricco di dialettica. La sensazione è che molto resti da dire. E infatti già si parla di un bis. Anzi di un tris, visto che la prima tappa è stata a Firenze. Da parte mia, un solo rammarico: il dubbio di essere riuscito a far capire che un giornalista che lavora tutti i santi giorni per un giornale solo, pagato 3 euro a pezzo, non è un freelance nè un precario, ma un abusivo. E non ha bisogno di un aumento dei compensi, ma di un contratto.

Alla prossima!