di LUCIANO PIGNATARO
Della serie “gli articoli IGP fuori passo” rispetto all’usuale cadenza, ecco le riflessioni di Luciano post Langa IGP Expedition 2016 sulle virtù cicloenoiche (più enoiche, per fortuna) di un grande produttore.

 

La bici da corsa davanti alla nuova cantina sembra dire “Hai voluto la bicicletta, ora pedala!
E di pedalate Luciano Sandrone ne ha date tante, ma proprio poi tante: 70 anni, 53 vendemmie alle spalle ed una passione assoluta per la vigna e la cantina.
Accanto a lui quasi da sempre la figlia Barbara e il fratello Luca, che ci guida nella della visita e ci parla di un giovane Luciano che si crea piano piano ma con decisione e costanza un suo spazio tra gli altrettanto giovani vignaioli di Langa.
Stiamo parlando di un “barolo boy” abbastanza atipico: non usa rotomaceratori ma ottiene nebbioli con tonalità molto intense, non adopera lieviti selezionati da sempre, è biologico ma non lo scrive in etichetta.
Mi piace ricordare la prima volta che sentii parlare di questa cantina. Ero all’allora Arcigola (ora Slow Food) a Bra ed eravamo curiosi di sapere quali cantine, durante gli assaggi della guida, avevano colpito i degustatori piemontesi. Carlin Petrini, ci fece solo un nome (che poi capii era un cognome), ripetendolo più e più volte “Sandrone, Sandrone, Sandrone”, a sottolineare l’assoluta qualità dei vini di quel produttore.
Da allora (stiamo parlando della prima metà degli anni novanta) ho sempre assaggiato i vini di Luciano, trovandoli in verità quasi sempre molto, troppo giovani per poter essere gustati con piacere.
Visitando la cantina e parlando con Luca ho capito il perché di questa assoluta giovinezza: un’attenzione quasi maniacale sia nella cura dei loro 27 ettari (curare il vigneto non vuol dire avere rese bassissime ma vigne equilibrate che diano uve sane ed equilibrate) sia in cantina, dove le fermentazioni si sviluppano a temperature che nei primi giorni possono arrivare anche a 33 gradi, scendendo poi a 25-26, arrivando così a fine fermentazione per poi lasciare le vinacce a macerare a cappello sommerso per 15-20 giorni. I vini andranno poi (nebbioli e barbera, il dolcetto non fa legno) in tonneau per periodi piuttosto lunghi.
Ho scritto nebbioli perché Sandrone produce Nebbiolo in varie vigne di Langa, nonché un Nebbiolo d’Alba che proviene da un territorio storico del Roero come la collina di Valmaggiore: vista la pendenza una vera e proprio “pista nera” votata alla viticoltura. Qui nasce un vino di grande finezza, che riesce a declinare al meglio le caratteristiche dei terreni sabbiosi del Roero.
I barolo parlano invece con voce più maschia, sia le Vigne che il Cannubi Boschis. La differenza tra i due sta che il secondo viene sempre dall’omonimo cru, mentre il primo nasce dall’unione (sempre diversa) delle uve dei vigneti di Vignane, Merli, Baudana e Villero.
Le differenze non finiscono qui naturalmente, il primo è di solito più imponente e ampio, il secondo più elegante e affilato. Ma assaggiare questi due Barolo della vendemmia 2012, appena entrati in commercio, non riesce a mostrarci bene le loro caratteristiche e differenze: meglio provarli con qualche annetto sulle spalle, per esempio quelli della vendemmia 2006.
Questa possibilità non è riservata solo a noi ma a tutti gli appassionati, perché Sandrone da diversi anni mette via un 2/3000 bottiglie di ogni vendemmia per poi riproporle dopo dieci anni. I due vini erano (ma guarda…) di una giovinezza incredibile sin dal colore: forse dovrebbe incominciare a metterli in commercio dopo 20 anni!
Essendo un bastian contrario di nascita devo ammettere che il vino da me più apprezzato è stato il Dolcetto d’Alba 2015: colore impenetrabile, vinoso, fruttato, floreale, rotondo e fresco con i giusti tannini dolci, una vera goduria per il palato.
Mentre il mio palato godeva è arrivato in sala degustazione Luciano e la discussione è diventata anche una simpatica chiacchierata tra vecchi amici. Quando usciamo è ormai buio, la bicicletta si vede e non si vede ma le tante e belle pedalate date dalla famiglia Sandrone nel corso degli anni ce le portiamo in testa e, perché no, un po’ anche in pancia.