Il prossimo 7 febbraio alle 10.30 a Roma, presso la sede dell’Fnsi (ahia!), verrà presentato il rapporto LSDI – Libertà di stampa e diritto all’informazione, sul giornalismo in Italia relativo all’anno 2015.
Le cose da allora sono certamente peggiorate, ma fermiamoci ai dati sicuri.
Anche perchè, oltre che letti, i numeri vanno saputi interpretare.
Dunque, dice il lancio che “iI lavoro autonomo rappresenta ormai il 65,5% dell’attività professionale dei 50.674 giornalisti iscritti all’ Inpgi, ma oltre 8 free lance su 10 (l’82,7%) ricavano meno di 10.000 euro lordi all’anno per il loro lavoro”.
Che vuol dire?
Vuol dire:
1) che su 110mila iscritti all’OdG, oltre il 55% non è iscritto all’Inpgi e che non esercita quindi alcuna attività (o la esercita ricavandone somme risibili, il che è uguale essendo, il nostro, un lavoro e non un hobby);
2) che di quelli iscritti, 17.000 sono assunti mentre oltre 33.000, cioè il doppio, sono autonomi;
3) che, di questi ultimi, 26.500 ricavano comunque dall’attività giornalistica meno di 10mila euro l’anno, sono cioè sotto la soglia di sopravvivenza “professionale”;
4) che su 110.000 giornalisti italiani sono pertanto solo 6.500 i liberi professionisti che si collocano su una soglia di reddito che consente loro di sbarcare il lunario;
5) che sommando il 60.000 “fantasmi” extra inpgi e i 26.500 in inpgi ma alla canna del gas (loro malgrado, si capisce), la categoria dei giornalisti “reddituati” italiani, tra assunti e autonomi, non arriva alle 24.000 unità.
6) che “siamo tutti giornalisti” ma, alla fine, l’80% campa d’altro oppure d’aria.