Anche agli “Stati Generali dell’Informazione Turistica e Agroalimentare” di Milano mi si dice che devo cambiare mestiere e diventare, in pratica, comunicatore pubblicitario. Invece preferirei restare “difensore della decenza”.
Gli applausi del mio cuore, e un po’ anche della sala, ieri mattina sono andati a Alessandro Galimberti, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.
Il quale, nel saluto di apertura dei lavori della conferenza organizzata da Gist e Unaga (i gruppi di specializzazione dell’Fnsi per la stampa turistica e agroalimentare), ha sintetizzato il nocciolo del rapporto tra professione e web dicendo esattamente ciò che penso anch’io: “i giornalisti restino i difensori della decenza” e “liberiamoci dei sacerdoti della rete“.
Ovvero: l’informazione non può diventare uno strumento di marketing e del sistema globale che ad esso sovraintende.
Voce nel deserto, la sua, in un’orgia di lezioni e suggerimenti, a volte anche illuminanti, ma alla fine tutti orientati alla medesima conclusione: siccome la rete, e in particolare i social, hanno una natura e una funzione intrinsecamente commerciali, l’unica strada che i giornalisti che li usano (spesso senza alternative) hanno da perseguire per avere un domani lavorativo è appunto quella del marketing.
Il quale quindi anche in ambiente giornalistico si vorrebbe essere, come dire, sdoganato, riabilitato, reso ammissibile, o almeno tollerabile, quando non elevato a dignità di informazione.
Il che contraddice solarmente, sebbene quasi tutti fingano di non accorgersene o di non saperlo, il senso stesso del giornalismo, ovvero il racconto di una verità verificata e un uso terzo del diritto di critica.
Potrei smettere qui, perché il resto è tutta una teoria di brand, follower, storytelling, click, tool, like, influencer, instagramer.
Insomma un gran mondo in cui dell’informazione – che sarebbe la missione, anzi l’essenza del giornalismo – non c’è traccia.
Intendiamoci, non si è trattato di una giornata sprecata.
Come detto, è stata anzi molto esplicita nel sancire la teorica ineluttabilità del nostro futuro professionale.
Solo che suona un po’ grottesco che il messaggio che esce da un corso di formazione organizzato da e per giornalisti sia “smettete di fare i giornalisti e imparate a fare altro, che è l’opposto di quanto praticato e predicato finora“.
È stato eccepito, giustamente, che il mondo dell’informazione è già inquinato dal marketing, le marchette, la pubblicità occulta e dai giornalisti che li praticano.
Vero.
Il punto, però, è che ciò, quando praticato, costituisce un illecito deontologico e che chi lo lo compie sa bene essere tale.
Ma non è che, sdoganandolo, esso diventi giornalisticamente più accettabile.
Ora siamo in attesa del documento finale degli “stati generali”, frutto dei tavoli tematici riunitisi ieri pomeriggio. Io ero a quello “deontologico”. Stiamo a vedere.