In un sistema in cui il rapporto con l’informazione (spesso complice) è concepito quasi solo come leva di commercio o propaganda, il giornalista non compiacente è considerato un vero e proprio nemico.

 

A chiunque fa piacere che si parli bene di lui. E’ una cosa comprensibile. Se poi a parlare bene è la stampa, meglio ancora: il successo, in ogni campo, ovviamente ne guadagna.

Solo che la funzione della stampa è fare informazione, non promozione. E, quindi, la cosiddetta buona stampa non è un apriori garantito nè tantomeno dovuto. Bisogna almeno in teoria meritarsela. E non si può sempre comprarsela o pretenderla, come invece tanti credono di poter fare. Non capendo, o facendo finta di non capire, nemmeno la differenza che c’è tra avere di fronte un giornalista compiacente, uno apertamente ostile e uno semplicemente terzo, ossia super partes, che fa il suo mestiere: raccontare, piaccia o meno, i fatti come sono.

In questa sindrome, la scriminante è il paraocchi del tornaconto individuale: se per definizione è mia nemica la stampa che esplicitamente parla male di me, lo è pure quella che non parla bene, o non mi blandisce con le attese deferenze.

Intendiamoci: transitare dalla fase in cui, siccome sollevi qualche dubbio o fai qualche domanda sgradita, ti attiri occhiate storte e sentimenti malevoli è, al tempo stesso, la croce e il battesimo di ogni buon giornalista: chiamiamoli i galloni della professione.

Chi li porta sa bene come, verso certi soggetti, qualsiasi tentativo di convincerli che in te non c’è malizia, ma solo onestà intellettuale, professionalità e buon senso è destinato a fallire, perchè all’interlocutore ciò non interessa affatto. L’unica cosa che egli vorrebbe, e che pensa di poter ottenere o gli sia dovuta, è che tu sia prono e quindi funzionale ai suoi interessi (“vogliono che ti fai un santino sul grande libro del rock and roll“, cit.). Quindi, appena avrai dato l’impressione di non essere un docile alleato, diventerai subito, automaticamente, prima un seccatore importuno e poi uno da mettere in lista nera.

Che, come osserverà qualche collega, è in effetti un ottimo motivo di soddisfazione professionale.

Ma poichè quelli non capiranno comunque, tu sarai destinato a convivere con addosso una spiacevole sensazione di strisciante ostilità. Che poi diventerà aperta quando crederanno di non aver più motivo di temerti.

Il che non è bello, ma spiega come va il mondo.