Il prossimo 31 luglio, alle 14, è in programma al Senato un incontro tra giornalisti e parlamentari. Sul tappeto, la battuta d’arresto del dl sull’equo compenso, la riforma del lavoro che discrimina i giornalisti “autonomi” e la mancata “autoriforma” dell’OdG. Questo è il mio contributo. Chi vuole partecipare legga la nota in calce.

Nella storia del giornalismo, la libera professione vanta una grande tradizione e un ruolo ben preciso all’interno del sistema dell’informazione.
Il freelance è un giornalista iscritto all’Albo (ove ce n’è uno), che opera come libero professionista. Egli cioè non è dipendente da un editore, non ha un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato, ma agisce in regime di assoluta autonomia, intrattenendo rapporti con una pluralità di committenti e gestendo in proprio l’attività, dalla quale ricava un reddito come da una qualunque altra professione liberale, che lo rende autosufficiente.
Secondo tale modello, egli da un lato concentra quindi su di sé i rischi e gli oneri professionali, mentre dall’altro mette a frutto la propria organizzazione, competenza e intraprendenza per offrire, in concorrenza con i colleghi, i propri servizi a terzi committenti o acquirenti.
Si devono ai giornalisti freelance e al loro modo di fare giornalismo alcuni dei più grandi scoop e inchieste che hanno scosso il mondo degli ultimi cinquant’anni, a cominciare dallo scandalo Watergate.
Ovunque il coraggio, il “fiuto”, lo spirito d’iniziativa e l’autonomia dei freelance rappresentano quindi una risorsa imprescindibile per la libertà di stampa e la completezza dell’informazione.
Ovunque, tranne che in Italia.
Perché nel nostro paese non solo manca un qualsiasi inquadramento professionale specifico (fiscale, previdenziale, contributivo, contrattuale, legale e ordinistico) della figura del giornalista freelance, ma tale carenza si è fatta talmente cronica e penalizzante per la categoria da aver condotto la libera professione giornalistica alle soglie dell’estinzione. Con le intuibili conseguenze sia sul piano economico e occupazionale, sia sotto quello della trasparenza, correttezza, puntualità nella circolazione delle notizie.
Se insomma all’estero i freelance vincono i Pulitzer, in Italia i freelance finiscono (nemmeno troppo metaforicamente) a fare le pulizie.
La figura del giornalista libero professionista è infatti sempre stata percepita dal legislatore e dallo stesso sindacato come residuale e relegata pertanto nel novero generico delle attività “atipiche” o marginali, con il risultato di trovarsi, oggi, a circoscrivere una fattispecie del tutto priva di tutele e spesso sottoposta a norme e principi concepiti in funzione di realtà o settori completamente diversi. Non è un caso se, ad esempio, al momento dell’introduzione della previdenza obbligatoria per i lavoratori autonomi, i freelance vennero inizialmente inseriti in una categoria “mista” che comprendeva anche gli amministratori di condominio e i membri dei cda delle società di capitali.
La legge che regolamenta la professione, risalente al 1963 e da allora mai adeguata agli infiniti mutamenti intervenuti nel frattempo, fotografa un mondo in cui il libero professionista era ancora di là da venire e divide i giornalisti tra professionisti (cioè i redattori assunti) e pubblicisti, cioè collaboratori esterni ed occasionali che scrivono in virtù di loro particolari competenze in materie specifiche e non vivono di giornalismo. Per la legge 69/63 la libera professione non esiste.
In tale prospettiva appare particolarmente grave anche l’incapacità di recente dimostrata dall’Ordine di “autoriformarsi” secondo le direttive concordate con il ministero della Giustizia in vista dell’entrata in vigore, prevista per il 13 agosto 2012, del decreto “salva Italia” sugli ordini professionali.
Tra gli altri principali vuoti che oggi in Italia penalizzano la libera professione giornalistica, fino a metterne a repentaglio la stessa sopravvivenza, c’è inoltre l’assoluta mancanza di regole relative a compensi, tariffe, rimborsi e ai loro tempi di pagamento.
Tale situazione, degenerando, ha progressivamente trasformato il naturale teatro di libera concorrenza, all’interno del quale normalmente opera il professionista, in un mercato selvaggio in cui l’incongruità e l’incertezza dei corrispettivi da un lato, la conseguente e inevitabile corsa al ribasso dall’altro, ha ridotto redditualmente l’attività a un rango dopolavoristico, minando in tal modo tanto il prestigio e la dignità dei giornalisti, quanto l’indispensabile presupposto della loro indipendenza economica come corollario della indipendenza intellettuale.
Ciò ha inoltre alimentato la crescita incontrollata di un numero sempre maggiore di operatori che a vario titolo, attratti dal miraggio di un lavoro o dal fascino (fittizio) della professione, sono disposti a lavorare gratis o in cambio di compensi simbolici pur di potersi annoverare tra i “giornalisti”.
In totale assenza di un inquadramento contrattuale (il lavoro autonomo non è contemplato, né è in prospettiva che lo sia in futuro, all’interno del ccnl giornalistico) e in mancanza di un sistema tariffario di natura ordinistica (abolito dal 2004 e comunque, quando vigente, del tutto inadeguato alla complessità e alle reali esigenze della professione, al punto da costituire spesso un elemento giudiziariamente penalizzante per il professionista), per sopravvivere la libera professione giornalistica ha dunque assoluto bisogno di quella tutela legislativa conosciuta sotto il nome di “equo compenso”.
Di una norma, cioè, che sancisca giuridicamente il principio secondo il quale, anche in questo settore, il lavoro deve essere compensato in misura proporzionale alla quantità e alla qualità della prestazione e comunque nel rispetto di un minimo legalmente garantito e inderogabile, lasciando ovviamente all’autonoma contrattazione tra le parti, pilastro della libera professione, la determinazione del quantum finale.
A questo imprescindibile risultato (già raggiunto, sotto il profilo ordinistico, dalla recente adozione della “Carta di Firenze”, qui) punta il dl, attualmente giacente al Senato, sul cosiddetto “equo compenso” che, ottenuta l’approvazione alla Camera, sta inopinatamente incontrando viscosità tecniche e politiche.
Occorre, a tale proposito, che il mondo politico e in particolare quello parlamentare si rendano conto del contesto di estrema difficoltà in cui, per le cause sopra illustrate, versa la libera professione giornalistica e del fatto che, in mancanza di una rapida (ri)costruzione di un’intelaiatura giuridico-legale (di cui il provvedimento sull’equo compenso è parte essenziale) all’interno della quale essa si possa da subito stabilmente collocare, tale contesto ha già condotto a un duplice risultato negativo, forse irreversibile: la progressiva scomparsa, dal mercato professionale, dei freelance in attività e l’impossibilità, per le nuove generazioni, di accedervi, a causa dell’assoluta mancanza di prospettive reddituali e di realizzazione professionale.
Allo stato attuale delle cose, il giornalismo freelance in Italia è infatti realisticamente esercitabile solo in forma hobbistica, con tutte le criticità che il dilettantismo può comportare in un settore strategico della vita democratica del paese come quello dell’informazione.
Ciò che i giornalisti liberi professionisti italiani chiedono al Parlamento è di farsi carico del problema e di approvare quindi, senza ulteriori indugi, la legge sull’”equo compenso”, quale tassello fondamentale per la costruzione di un edificio normativo dal quale dipendono sia il loro futuro professionale che una fetta consistente del diritto all’informazione costituzionalmente sancito.

Nota per i parlamentari: è indispensabile comprendere che la libera professione giornalistica non esaurisce la più ampia categoria del lavoro giornalistico autonomo, per intero interessata dall’approvanda normativa sull’equo compenso, e che comprende ulteriori e variegate figure, quali i collaboratori di singole testate, i collaboratori occasionali, i titolari di contratti a termine.

Nota per i colleghi: l’incontro è organizzato dalla collega Solen De Luca (solen@fastwebnet.it), chi volesse intervenire si accrediti inviando al più presto a Solen una mail con nome, cognome e numero di tessera professionale.