Comunque vada, il 13 ottobre si vota per l’OdG, ma a parte il cicaleccio propagandistico-correntizio non vola una mosca su idee, programmi, strategie e prospettive mentre l’Inpgi va a picco, il sindacato s’è dissolto, la professione annaspa. Il rischio? Arrivare nudi al voto.
Forse sono io che sono distratto ma, fuori dalle sacre stanze (che non frequento), non mi pare di sentire nulla di significativo sulla questione delle elezioni dell’OdG che, dopo infiniti rinvii, di riffa o di raffa dovranno svolgersi il prossimo 13 ottobre (vedi in calce il comunicato ufficiale con date e convocazioni). Praticamente domani. E dove la riffa è il voto elettronico, mentre la raffa è il voto ordinario, cioè in presenza.
Sia chiaro: ciò che auspicherei di sentire, in un momento cruciale per la professione e per il suo stesso futuro, non è il cicaleccio sulle modalità elettorali – tema importante e onusto di implicazioni, ma secondario rispetto alla sopravvivenza della categoria – bensì sui nodi fondamentali, anzi improrogabili del nostro mestiere. O almeno una strategia, una linea su come affrontarli: dall’imminente collasso della previdenza alla rifondazione, su base finalmente pluralistica, della dissolta rappresentanza sindacale, dalla riforma della legge 69/63 alla ricostruzione di un sistema di remunerazione del lavoro capace di garantire a 360° la qualità e la professionalità dell’informazione.
Invece è silenzio su tutti i fronti, se si accettua il fastidioso battibecco correntizio che ci ammorba sui social ad opera dei soliti militanti.
Credo insomma che si debba (se uno ci va) andare in vacanza parecchio inquieti.
La Gazzetta del Mezzogiorno ha chiuso, tra lai tanto alti quanto tardivi di chi da anni doveva aver inteso il trend (sia del glorioso quotidiano barese, sia dell’editoria in generale) e trovato soluzioni. Buona parte della stampa italiana, qualunque sia la sua periodicità, si basa ormai sull’economia della gratitudine, cioè sul lavoro gratuito o remunerato simbolicamente per la produzione del 70% dei suoi contenuti. Ciò senza farsi domande, vista la gratuità, su qualità e indipendenza dei contenuti stessi, considerato che la gente non vive d’aria e, se vive d’altro, non è tenuto a mettere troppa cura in ciò che fa per hobby. I conflitti di interesse poi, da ipocritamente tollerati, paiono oggi considerati, dall’opinione e dagli stessi giornalisti, uno stato “naturale” di chi fa questo mestiere.
Evviva.
L’unica speranza sarebbe che, con due secoli e mezzo di ritardo, nell’occasione elettorale le masse dell’informazione facessero irruzione nella storia, ma si tratta di una prospettiva realistica, alla luce di una popolazione professionale smarrita, demotivata, subacculturata, dilettantizzata? O c’è il rischio che, come al solito, siano le elite a indirizzare le masse e a farsi artefici di rivoluzioni vere o presunte?
Con queste rilassanti sensazioni mi accingo a salutare i colleghi che vanno in ferie.
Io non ci vado, perchè faccio un lavoro che un tempo era “sempre meglio che lavorare” ma che ora per la maggioranza è diventato un passatempo.
Buona tintarella.
PS, questo il comunicato ufficiale del CNOG: