Si chiamerà “Carta di Firenze” e avrà lo scopo di riscrivere un patto fra colleghi in cui tutti – contrattualizzati e non – stiano dalla stessa parte. Per arrivarci bisognerà però fare piazza pulita di equivoci, paraocchi e comodi distinguo. Sarà una lunga battaglia e la vittoria non è affatto certa.
Comincia oggi a Firenze (cinema Odeon, 9.30) e durerà fino a domani quella che vorrebbe essere la convention degli “altri” giornalisti. Di coloro cioè che stanno fuori dalle redazioni e, pur producendo il 70% del pubblicato sui giornali, guadagnano un quinto dei colleghi e spesso di meno. O, a volte, nulla.
Un mondo caotico sul quale, bisogna ammetterlo, i primi ad avere le idee confuse sono i giornalisti e le loro istituzioni (Ordine e Fnsi), che sono le prime artefici della “guerra civile” in corso all’interno di una professione senza prospettive.
Freelance, precariato, vere e false partite iva, collaboratori a vario titolo, abusivi, disoccupati e pensionati tutti insieme – ma per niente appassionatamente, anzi in modo molto rancoroso – in un calderone che più d’uno ha tutto l’interesse a mantenere indistinto per pilotare meglio il malcontento e una massa spesso inconsapevole, perchè ignorante, del proprio stesso profilo professionale.
Per questo è importante che oggi e domani a Firenze i giornalisti siano capaci di guardarsi allo specchio prima ancora di osservare la realtà. E capiscano che lo sfacelo della categoria parte innanzitutto da loro stessi, dalla demagogia, dalla malizia e dalla incapacità di chi finora li ha rappresentati (o ha preteso di rappresentarli senza il diritto nè la delega per farlo).
Lo scopo finale è riscrivere un patto di solidarietà tra i colleghi, la “Carta di Firenze”: un codice deontologico intragiornalistico che consenta (e, se necessario, obblighi) chi sta “dentro” ai giornali a stare dalla parte di chi ne sta “fuori”, ma lavora ogni giorni fianco a fianco con lui.
Non nascondiamoci dietro a un dito: sarà un percorso difficile, doloroso, ricco di ostacoli e di spigoli, che comporterà litigi, traumi e fratture e sull’altare del quale, ma era ora, andranno sacrificate parecchie illusioni, dissipati parecchi abbagli, cestinati parecchi apriorismi, smaltite parecchie sciocche ideologie.
Bisognerà fare insomma pulizia: delle variabili indipendenti, dello status quo e anche di tanta ottima gente, inadeguata però a svolgere una professione che, oggi, definire eccedentaria è eufemistico. A cominciare da chi, generosamente ma poco professionalmente, pur di esercitarla è disposto a farlo gratis o quasi, come se il lavoro non fosse un mezzo per vivere, ma un fine.
Ecco perchè, a parere di chi scrive, il primo obbiettivo della “Carta” e del patto tra colleghi di cui essa è portatrice dovrà essere fermare il “giornalistificio“: un sistema infernale che vomita ogni anno centinaia di nuovi giornalisti senza speranza, senza preparazione, senza prospettive e spessissimo senza cultura, nè preparazione, nè professionalità.
Impossibile insomma spegnere l’incendio senza prima circoscriverlo.
Se non ne saremo capaci, sarà il fuoco e incenerire tutti, ponendo fine a ogni questione.
Poi si dovrà affrontare la questione dei “giornalismi“, andando a cercare le tutele e i correttivi indispensabili a restituire dignità a tutte le diverse tipologie professionali e prendendo atto quindi da subito, come premessa indispensabile, delle enormi, sovente incompatibili differenze che intercorrono tra l’uno e l’altro tipo di attività. I precari hanno bisogni, profili, psicologia antitetici ai liberi professionisti, gli abusivi non hanno nulla a che spartire coi disoccupati. O quasi.
Rifuggire dunque dalla comoda massificazione tra i generi all’interno alla quale, come è accaduto finora, si è colpevolmente e scioccamente caduti, nell’illusione (e forse allo scopo?) di annegare nel caos indistinto le singole istanze, affinchè non emergessero mai e potessero essere affrontate nascondendosi dietro al paravento dell'”alterità“.
Ce la faremo? Boh!
La prudenza è d’obbligo, il realismo una necessità.
Ma su questo blog avrete comunque una cronaca puntuale e impietosa di quello che succede.
E che Dio ce la mandi buona…