Se i mediocri perdono ai rigori, magari sono mediocri anche i vincitori. E comunque si è usciti ai quarti, non si è persa la finale. Ma piuttosto: hanno senso campionati fra squadre che sempre meno rappresentano un calcio ormai privo di nazionalità?
Smaltita (quasi) la delusione, alcune considerazioni.
Prima: per una rara volta ieri sera mi sono trovato d’accordo con Mario Sconcerti. Dispiace, ovviamente, ma uscire dagli Europei non è una gran tragedia, considerato che erano i quarti, mica la finale, e che la contiana compattezza della squadra ha compensato come e finchè ha potuto la nostra già nota mediocrità generale (senza entrare nel merito della tempra morale dimostrata, nè della goffaggine di certi rigori).
Seconda (che contraddice la prima): visto che si è perso ai rigori giocando più o meno alla pari non solo coi campioni del mondo in carica (e prima si era vinto coi campioni d’Europa in carica e coi primi del ranking Fifa), ma con quelli che ci avevano mazzolato pochi mesi fa e hanno praticamente mazzolato anche tutti gli altri, forse i veri brocchi sono loro. Gli stranieri, intendo. La differenza è che nei club italiani giocano titolari mentre i nostri sono riserve. In ambedue le categorie però, salvo alcune eccezioni, mi pare che il talento scarseggi. Quindi forse, e al netto dei motivi economici che retrostanno all’esterofilia calcistica, dalla riduzione del ricorso a giocatori stranieri non migliori dei nostri avremmo tutto da guadagnare, sia come nazionale che come campionato. Insomma credo che sarebbe opportuno non come scelta politica, ma come scelta tecnica dettata dall’evidenza.
Terza: non amo la Juve nè i suoi giocatori e resto convinto che le recenti vittorie siano anche il frutto di altre, consuete vocazioni, ma bisogna riconoscere che il quartetto difensivo Buffon-Barzagli-Chiellini-Bonucci è una muraglia piuttosto ostica da superare.
Quarta e penultima: il livellamento dei valori e delle prestazioni legato da un lato alla caduta delle barriere tra scuole calcistiche e frontiere, dall’altro alla velocità del gioco che privilegia il peso della preparazione atletica rispetto alla tecnica individuale sta da tempo portando a un calcio ovunque omologato. Non è una critica in assoluto, è una constatazione. Ne stanno pagando il prezzo quelle nazionali, come la nostra, o il Brasile, o l’Argentina (a cui, di questa generazione, i talenti non mancano) da sempre abituate ad avere grandi giocatori in grado spesso di fare la differenza rispetto al collettivo.
Quinta e ultima: ma se il calcio è diventato un melting pot in cui una squadra nazionale non rappresenta più – etnicamente, tecnicamente, tatticamente – un paese, perchè col rimescolamento tutti possono diventare o essere cittadini di tutto e giocare ovunque, ha calcisticamente senso mantenere in vita (show business a parte) i campionati fra squadre nazionali? O alla fine la “nazionalità” del football è oggi meglio rappresentata dai club, a prescindere dal passaporto dei giocatori che ci giocano, e quindi sarebbe meglio unificare Champions’ e Europei, Intercontinentale e Mondiali?
A pensarci bene, l’automobilismo l’ha già fatto: sparito il Mondiale Marche, si è creato un campionato costruttori sotto il cappello dell’omologatissima F1.
Le corse ci hanno perso, ma la noia è rimasta la stessa.