di STEFANO TESI
2014, anno pessimo per l’olivicoltura italiana. Così il Frantoio Gaudenzi di Trevi, per non ingannare nessuno, fa l’olio anche con olive comprate altrove e lo dichiara esplicitamente: bravi! E intanto vara la sperimentazione con l’università di PG.
Ore 9 del mattino di domenica scorsa, 12 ottobre.
Seduto nella sala di degustazione del frantoio aziendale, poco fuori Trevi, Francesco Gaudenzi guarda sconsolato il termometro appeso alla parete.
“Ci sono 23° gradi“, dice. “Come ad agosto“.
Nell’opificio tutto scintilla, tirato a lucido per partire con la nuova campagna di frangitura.
C’è sono un dettaglio fuori posto: non ci sono le olive.
Lui sospira: “Il problema è che le olive non ci sono nè qui, nè in Umbria, nè altrove“.
Ha ragione. Basta farsi un giro in un qualunque oliveto italiano per capire che, in questo 2014, le chiacchiere stanno a zero: olive sulle piante ce n’è pochissime. E, quelle superstiti, sono quasi tutte martoriate dalla mosca dopo una “primavera piovosa” che in pratica si protrae da marzo. I frutti sono caduti precocemente e quelli rimasti sono pressochè inutilizzabili per via dell’insetto. Non ce n’è di qualità e di quantità decenti per produrre un olio extravergine degno di questo nome.
Non parliamo del caso di microproduzioni ad uso domestico o quasi, ovviamente, che forse qualche quintale lo racimolano, ma di produttori che, per quanto piccoli, hanno un mercato e una clientela qualificata da soddisfare.
Così, già a metà settembre in parecchi avevano cominciato a chiedersi: e ora? Arriva ottobre, tempo di raccolta, e la conclusione è inevitabile: quasi nulla da raccogliere e quindi quasi nulla da spremere. Nè negli oliveti di proprietà, nè in quelli altrui.
Le medesime sconfortanti considerazioni le ha fatte anche Francesco Gaudenzi, titolare dell’omonimo frantoio (qui). Il quale, capita l’antifona, prima ci ha pensato una notte intera e poi, com’è nella sua indole, ha deciso: quest’anno il nostro extravergine non s’ha (quasi) da fare.
“Era inutile negare l’evidenza. Sapevo però che non potevo nemmeno lasciare completamente sfornita la mia clientela, nè perdere del tutto un anno sotto il profilo commerciale“, chiarisce. “Neppure volevo tradire i consumatori propinando loro come frutto delle mie olive un olio che nel 2014 non si poteva produrre buono“, spiega. “Ho fatto ricerche concentriche: gli amici, gli olivicoltori della zona, poi l’intera Umbria, dopo ancora le regioni limitrofe: zero o quasi, tranne che in Abruzzo e in certe parti della Puglia. Allora mi sono detto: bene, compro le olive lì, con tutte le garanzie, e poi imbottiglio l’olio di quest’anno con il mio nome, ma con un’etichetta ad hoc. E dichiarando nero su bianco che non proviene da olive aziendali, bensì da frutti acquistati altrove a causa di un’annata particolare“.
Ecco un extravergine 2014 che, comunque sia, ci piacerà. Perché parla chiaro. E tanto di cappello al produttore per l’onestà e la trasparenza. Quindi, per quest’anno, poca produzione delle gloriose seleszioni Quinta Luna e 1950, nessuna della selezione “di famiglia” 6 Novembre, pochissimo del cru Le Chiuse di Sant’Arcangelo e poco (forse nulla, se le degustazioni non saranno soddisfacenti) del Casalontana Umbria dop.
Non tutto il male, del resto, vien per nuocere.
La campagna a scartamento ridotto permetterà a Gaudenzi di prendere meglio la mano con il nuovo frantoio sperimentale Alfa Laval Evoline a scambiatori di calore, appena installato. E di sviluppare la collaborazione avviata proprio con la multinazionale americana e la Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, nella persona del professor Maurizio Servili.
“Si tratta di un impianto di nuova concezione, l’unico nel suo genere nel centro Italia, che, grazie a un sistema di scambiatori di calore installati a valle della macina (a dischi o a martelli, ndr), consente il controllo e la stabilizzazione rapida della temperatura della pasta. La quale può così transitare attraverso la gramolatrice per un tempo dimezzato, con tutti i vantaggi e il risparmio che ciò comporta“, racconta Gaudenzi.
Lo scambiatore, a contatto con i quale la pasta resta appena 90 secondi, consiste in una serpentina di circa 12 mt a triplice tubo coassiale: in quello intermedio scorre l’impasto, mentre in quelli interno ed esterno scorre acqua calda e fredda alla temperatura, determinata da un computer, necessaria a portare ai gradi voluti l’impasto, che quindi giunge in gramolatrice già alla temperatura ideale per la coalescenza.
Dopodichè la pasta va al decanter, un X6 di Alfa Laval: “Albero e tamburo girano nello stesso verso e non in sensi contrapposti. E l’olio viene raccolto in orizzontale nella canalizzazione al centro della macchina, con molti minori stress meccanici, molto più velocemente e senza sbalzi di temperatura”.
Naturalmente è presto per parlare dei risultati, ma alcune evidenze sono già nette.
Le poche frangiture di prova finora effettuate hanno dimostrato ad esempio che la macina a dischi produce una pasta che dà un olio con una finale quantità di materiale in sospensione, e quindi di precipitato, molto minore rispetto al sistema a coltelli. Mentre l’extravergine ottenuto con gli scambiatori ha un colore verde molto più brillante del consueto.
Per il resto, appuntamento al 2015.
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