di LUCIANO PIGNATARO
Una verticale di tre vecchie annate di Lacryma Christi, il bianco da ‘a muntagna, frutto di una viticultura che “è un po’ come i calchi dei morti pompeiani: una traccia, il ricordo di un passato…“.

C’è sempre qualcosa di minaccioso e al tempo stesso di rassicurante nel Vesuvio, ‘a muntagna come la chiamano tutti qui. La minaccia è nelle tracce di morte trasformate in spettacolo prima ancora che qualcuno pensasse alla società dello spettacolo. Rassicurante è il silenzio del guardiano del Golfo di Napoli che regala a tutti la sensazione di stare dentro una culla, con Sorrento, Capri e le luce della città lunga e infinita.
Il Vesuvio è sempre stato luogo di commercio: la città esportava spazzatura per concimare quando non c’era plastica, il Vesuvio raccoglieva semi, carni, frutta, ortaggi in tutto il Sud e li rivendeva in città.
In questo respiro il vino è sempre stato qualcosa da consumare presto e subito, si chiamava Lacryma Christi ma in realtà le uve venivano anche dalla Puglia e dall’Abruzzo perché le mille taverne di Napoli non si dissetavano mai.
Oggi questa viticultura è un po’ come i calchi dei morti pompeiani, una traccia, il ricordo di un passato. E non è stato facile cambiare passo: alcune cantine hanno continuato a vinificare uve altrui, altre sono state costrette a chiudere, altre ancora hanno cercato l’aggancio con la terra e i temi della moderna viticultura nata dopo la crisi del metanolo.
Vincenzo Ambrosio viene dal mondo dell’olio, è ancora questo il suo business principale. Ma ha comprato una bella proprietà a Terzigno, dove ha il vantaggio di non dover correre. Si spiega così la cura per il tempo, la necessità di aspettare. Non a caso è stata la prima aziende a vendere in una cassetta bianchi di vecchie annate in verticale.
Chi lo avrebbe mai detto? Falanghina e Coda di Volpe da attendere uno, tre, anche dieci anni! Ed è andata proprio così, una politica che è piaciuta agli stellati della Costiera dove si trova il bianco del Vesuvio dai sentori di ginestra, frutta bianca, e poi di macchia e, con il tempo, di idrocarburi. La beva secca, fresca e salata che distingue questi bianchi senza mediazioni piacione.
Di Vigna del Vulcano abbiamo fatto molte verticali. L’ultime con la Federazione Europea Sommelier: tre annate che ci hanno stupito e di cui vi diamo rapido quadro.
Vigna del Vulcano 2012. Ancora fresca, con un’acidità scissa dal resto del corpo del vino, ottime prospettive di crescita e di durata del tempo. ****
Vigna del Vulcano 2008. Insolitamente carica nel colore, quasi stanca, evoluta al naso con confettura di albicocca e note di miele di acacia. Ben sostenuta e senza alcun cedimento la beva al palato con una chiusa lunga e precisa. ***
Vigna del Vulcano 2006. La sorpresa della serata. Fresca, piacevole, ricca, con rimandi fumé e di idrocarburi, sapida al palato, piacevole la chiusura. Un grandissimo vino. *****

Cantine Villa Dora
Via Bosco Mauro 1, Terzigno (NA)
Tel. 081/5295016
www.cantinevilladora.it
Ettari: 13 di proprietà.
Bottiglie prodotte: 45.000

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