di STEFANO TESI
Tra le vigne di Niclara, in Alto Adige, c’è una minicentrale idroelelettrica del 1910 che ha funzionato per un secolo. E potrebbe funzionare ancora, dando corrente a tutta la fattoria. La costruì il padre di uno che si è fatto un parco da solo e il nonno di uno che ha messo le viti a 1000 metri. Dove oggi, suo figlio …
Dopo un’ora che si passeggia tra le vigne parlando di pergole, guyot, microclima, Schiava, Lagrein, Gewurztraminer, viticoltura eroica e riscaldamento globale, si passa davanti a una piccola costruzione intonacata di bianco e lui dice distrattamente: “Ah, qui è dove prima stava la macchina”.
Attimo di stupore. La macchina? Che macchina?
“Il generatore del mio bisnonno”.
In situazioni simili, i casi sono due. O si finge di aver capito e si tira diritto, oppure ci si ferma e si chiede.
Io ho scelto la seconda possibilità.
Per tutta risposta Christof ha tirato fuori dalla tasca un mazzo di chiavi, ne ha scelta una e l’ha infilata nella toppa del vecchio portone di legno.
Mentre tutto questo succedeva, alle nostre spalle la piana dell’Adige si srotolava tra Niclara, Cortaccia e Magrè, con le Dolomiti sullo sfondo e l’aria frizzante di un inverno incipiente a fare da contorno.
Solo quando la porta si è aperta ho notato che la serratura non aveva fatto alcun rumore, come del resto le chiavi, perché lo scrosciare dalla montagna di un vicinissimo ruscello sovrastava ogni altro suono.
E’ a questo punto che il viaggio nel tempo è cominciato e davanti ai miei occhi si è spalancato uno spicchio di Austria Felix.
Senza dare altre spiegazioni, il nostro ospite ci introduce e fa: “Il mio bisnonno Herbert la fece costruire nel 1910. Ha funzionato perfettamente fino a dieci anni orsono, dando corrente a tutta la fattoria e, fino a dopo la seconda guerra mondiale, anche ai paesi vicini”.
Dall’alto della foto seppiata appesa al muro, il baffuto antenato si gode soddisfatto la vista del suo gioiello: una stupefacente centrale idroelettrica “tascabile”, ordinatissima ed efficientissima, tutta racchiusa in una stanza di cinquanta metri quadrati dove, da un momento all’altro, ti aspetti possa entrare un gendarme dell’Imperatore Francesco Giuseppe o un vecchio meccanico con la tuta sporca d’olio.
Esempio di un’intuizione imprenditoriale (è il caso di dire) folgorante, ma anche un’autentica meraviglia meccanica e di estetica, questo piccolo, sommesso museo vale da solo il viaggio. Rotori, manopole, contatori, manometri, isolanti, tutti lustri e lucidi, sono ancora lì, installati con precisione teutonica e nel pieno rispetto del dettame vitruviano: solidità, utilità e bellezza. Ogni parte è perfettamente funzionante, con i cuscinetti a sfera che dopo quasi un secolo potrebbero ancora fare egregiamente il loro lavoro: cioè trasformare in energia elettrica l’acqua del ruscello che scende veloce dai monti. Al muro, sotto vetro, i documenti e i permessi dell’epoca, ovviamente vergati a mano.
Ancora oggi la centrale (affiancata con discrezione da quella nuova, che rende energeticamente indipendente la fattoria) fa parte della tenuta di Castel Turmhof della famiglia Tiefenbrunner.
Famiglia di avveduti e appassionati viticoltori che però, ad ogni generazione, si concedono un colpo di testa.
Al bisnonno toccò l’idea della centrale. Il nonno, oltre a continuare la tradizione vinicola familiare, dedicò la vita all’invenzione e alla costruzione delle grottesche, dei giochi d’acqua e delle figure allegoriche (“tutto a mano, coi sassi portati a spalla dalla montagna e un solo aiutante”) del grande parco monumentale, visitabile, che circonda la villa/castello. Il padre di Christof invece, Herbert come il bisnonno, nel 1972 si mise in testa di piantare un vigneto a mille metri di quota e lo fece davvero: salì fino al podere Hofstatt, sull’altipiano di Favogna, in un punto protetto dai venti di tramontana, e mise a dimora alcune migliaia di viti di Muller Thurgau e di Kerner.
La sfida fu vinta perché oggi il vigneto è grande tre ettari e qui si produce il Feldmarschall Von Fenner, un interessantissimo Alto Adige doc bianco.
Quello che abbiamo assaggiato, il 2011, ha un bel colore dorato pieno con riflessi verdastri, un naso intenso, variegato e cangiante con sentori che a tratti lo (ri)avvicinano al Riesling: fiori bianchi, pesca, gelsomino e frutta. In bocca è elegante, molto sapido, dorato di buona struttura, con un lieve retrogusto amaro e una lunghezza che, grazie alla grande acidità, si sviluppa a ondate successive facendo di questo un vino emozionante e divertente.
Resterebbe da parlare, in chiusura, del colpo di testa tenuto in serbo dalla generazione attuale dei Tiefenbrunner, quella di Christof e di sua moglie Sabine. Ma forse lui è ancora troppo giovane. O magari un’idea già ce l’ha, ma non la svela.
Non rimane che aspettare.
Pubblicato in contemporanea su: