di STEFANO TESI
Il nuovo corso dell’agriristorante della Fattoria di Lavacchio, a Pontassieve (FI), offre una cucina che reinterpreta la memoria non solo a parole, con vini e prodotti propri (tutti bio) e invenzioni che non sono caricature.
Più che l’emaciato Don Chisciotte, qui andrebbe a nozze il fidato Sancho, nel senso di Panza.
Perché, sì, c’è in effetti un mulino settecentesco, costruito tra l’altro in base ai disegni leonardeschi (ottima scusa per una visita culturale, considerate le celebrazioni in corso per il 500° della morte del genio toscano), contro cui l’impavido cavaliere potrebbe scagliarsi. Ma c’è soprattutto un ristorante, anzi un agriristorante visto che fa parte della Fattoria di Lavacchio e cucina piatti basati sui prodotti aziendali, più che meritevole. Su cui il fidato scudiero del cavaliere potrebbe fiondarsi con pari slancio.
La formula è collaudata: un gran bel posto panoramico, con tavoli all’aperto in primavera ed estate (la quota di 450 metri giova assai alla frescura), servizio, arredi e apparecchiature molto lontani dalla rusticità gratuita di certi locali consimili, tutto intorno le vigne e i vini di una cantina affermata e bio come quella di Lavacchio, una zona di pregio come quella del Chianti Rufina.
Il valore aggiunto però – parrà banale, ma non lo è affatto – sono proprio i piatti. I quali appunto beneficiano non solo degli ingredienti aziendali a chilometro zero, che non è poco, ma pure della mano felice e delle reminiscenze di uno chef autoctono come Mirko Margheri, tornato nella terra natia dopo le fatali e formative esperienze lontano da casa.
Qui però casca l’asino. O, meglio, l’asino sta in piedi.
Perché tra il dire e il fare ce ne corre e noi abbiamo potuto personalmente sperimentare che in questo caso le due cose coincidono, nonostante i pericoli a cui spesso la dialettica e il marketing espongono i cuochi quando, tra le parole che li presentano, leggi “cucina della memoria” e la pascoliana “aurorale meraviglia”, con l’immancabile contorno, magari veritiero ma ovvio, di orti domestici o di mamme e nonne in cucina.
Insomma c’è il rischio dell’infiocchettamento.
Invece, sorpresa: l’uovo cotto a bassa temperatura, servito piccante su una crema di verdura, ha una sapidità e un’abbondanza perfino opulenta, inusuali in questo tipo di portata, e i già ottimi gnudi di pecorino alla crema di fave e purè di pere sono esaltati dall’aura del profumo del baccello che li precede. Il tortellino rivisitato ripieno di bardiccio (il gustoso insaccato povero tipico della Val di Sieve) e crema di formaggio, con spolverata di prosciutto crudo, si scopre essere una molto godibile rilettura del tortellino alla panna degli anni ’60, mentre attinge al classico cortile contadino anche il coniglio in tre preparazioni: coscio ripieno con carciofi, lombo con pomodori secchi, costine con crema di mele e cannella.
Insomma per una volta la parola “rivisitazione” non è usata a sproposito e si esce soddisfatti, convinti e satolli.
In cantina, ovviamente, l’agriristorante è tenuto a servire tutti i vini della Fattoria di Lavacchio, ed è un bel bere, oltre alle bollicine del Carpineto Brut e al Dea Rosa della Tenuta Buonamico come rosato.
Spesa sui cinquanta euro, vini esclusi.
Ristorante Mulino a Vento – Fattoria di Lavacchio
Via di Montefiesole 48, Pontassieve
Tel. 055/8317472
Aperto solo a cena (19.30 alle 22,45) e nei weekend anche a pranzo, chiuso mercoledì.
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