di LUCIANO PIGNATARO
Bechar 2003, bevuto alla cieca: Chardonnay? Bourgogne? Ha dieci, quindici, vent’anni? Ci piace moltissimo e l’esperienza ci porta a indovinare. E l’elenco dei pregiudizi crolla dopo aver scoperto questa bottiglia.

 

Il pregiudizio è un meccanismo mentale simile ad una scorciatoia che non porta da nessuna parte. La imbocchiamo convinti di accorciarele distanze, saltare faticosi apprendimenti e arrivare primi per poi trovarci di fronte ad un muro, il muro della non conoscenza.
Vale nella vita, vale anche nel vino.
Bechar 2003 bevuto alla cieca: uno Chardonnay? Un Bourgogne? Ha dieci, quindi, vent’anni? Lo sentiamo e ci piace moltissimo grazie all’olfatto complesso in cui la frutta, agrumato di cedro, si fonde con note balsamiche e spezie. Al palato sapido e fresco, di grande spessore, con un ritorno di quello che si è sentito al naso amplificato da note di idrocarburi.
L’esperienza mi butta a indovinare: un More Maiorum di Mastroberardino?
No, il Bechar di Caggiano 2003. Ed ecco allora l’elenco dei pregiudizi che crolla dopo aver scoperto questa bottiglia.
Il primo, che non mi appartiene ma che è ancora molto diffuso nei luoghi comuni del consumatore medio, è che i bianchi vecchi, anche molto vecchi, non siano buoni da bere.
Il secondo, che non mi appartiene ma che è declamato dagli enofighetti, è che il legno sia incompatible con un buon Fiano, o in genere con i bianchi.
Il terzo, mio personale, è che le piccole aziende specializzate in rosso non possano fare grandi bianchi e viceversa, soprattutto quando sono fuori zona. Ricordo che criticai Molettieri e Caggiano per la scelta di produrre Fiano di Avellino e Greco.
Il quarto, anche questo mio, è che da uve comprate è impossibile fare un buon vino. Anche qui sono stato smentito dal risultato.
Infine il quinto, che riguarda la 2003, annata caldissima, la più calda a memoria post metanolo. I fatti stanno dimostrando invece che nelle zone fredde è possibile beccare bei risultati.
Ecco allora quante cose può insegnare una semplice bevuta, spingere al protocollo più importante per un assaggiatore di vino oltre che nella vita: vivere e bere senza paraocchi fa bene a noi e a chi ci sta intorno.

 

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