di ANDREA PETRINI
Amarone della Valpolicella Riserva Leone Zardin 2011: un ritorno al passato, vinificazioni in legno, follature a mano, appassimento senza condizionatori, salassi, affinamento in botte.
Lo ammetto, non sono un grande fan dell’Amarone della Valpolicella: non amo molto i residui zuccherini nei vini (a meno che non parliamo espressamente di vini da dessert) associati alle alte gradazioni che spesso e volentieri mi fanno desistere dal bere dopo il secondo sorso. I social, assieme alla mia innata curiosità, ogni tanto però fanno traballare alcune mie certezze e l’incontro con Pietro Zardini, prima virtuale e poi reale, mi ha in un certo senso rincuorato ed illuminato.
Pietro è uno dei tanti vignaioli attivi su Instagram la cui storia professionale, dopo aver conseguito un diploma come perito agrario, inizia negli anni ’90, quando inizia a lavorare con successo come consulente enologo per importanti aziende vinicole della Valpolicella Classica. Nel 2000, però, la svolta: il papà, che aveva una piccola realtà vinicola, decide che è tempo di andare in pensione passando il testimone a Pietro. Nasce così la “sua” azienda, la Pietro Zardini (stesso nome del nonno), con 7 ettari di vigneti, di cui parte in affitto, con lo scopo di produrre un vino tradizionale lontano dai canoni dell’enologia moderna “che – come mi ha spiegato lo stesso Zardini – ti fa correre il rischio di fare prodotti standardizzati, senz’anima e con un gusto un po’ artificiale, costruito per andare incontro alle esigenze del consumatore“.
Quello di Pietro, perciò, fu un ritorno al passato, alla ricerca di vinificazioni fatte in legno con follature a mano, l’appassimento senza condizionatori, i salassi, il lungo affinamento in botte o in fusto non tostato, sperimentando l’uso dell’anfora sui vini rossi, cosa che non era mai stata fatta prima in Valpolicella Classica.
“I primi anni – sottolinea Pietro – furono abbastanza duri. La tecnologia è molto comoda e certi coadiuvanti ti fanno risparmiare un sacco di lavoro, ma agendo alla vecchia maniera il vino usciva con un timbro diverso, le annate erano ben definite, i profumi molto interessanti e i lunghi affinamenti davano un carattere inconfondibile, molto tradizionale, soprattutto alla Corvina. Nel 2005 nasce il mio primo Amarone Riserva, il Leone Zardini che affina per 5 anni in legno e 1 in bottiglia. E’ entrato in commercio solo nel 2012 e la sua etichetta raffigura il mio babbo, a cui è dedicato il vino, col fido trattore Landini testa calda, comprato nel 1958”.
Prodotto con uve Corvina (70%), Rondinella (20%), Molinara (10%) provenienti da vigneti di Monte Mattonara e Negrar, questo Amarone Riserva mi ha stupito per la sua anima gentile, tradizionale e, soprattutto, per la sua poca voglia di stupire e prendere parte a competizioni edonistiche che per DNA non gli appartengono. E’ un vino profondo, certamente, ma spensierato, dai tratti decisi ma sfaccettati, come un quadro di Monet, dove gli aromi di viola, spezie orientali, legno di cedro e tabacco risultano in perfetta simmetria donando al vino un equilibrio elegante, di beva trascinante e che non stanca mai il palato, nonostante i 16 gradi alcolici.
Note tecniche: appassimento naturale senza condizionatori per 4 o 5 mesi. Vinificato in tino di legno con follature a mano per 6-8 settimane. Pressato con un vecchio torchio manuale. Invecchiato per minimo 48 mesi in botte grande e fusti da cinque ettolitri. Imbottigliato generalmente un anno prima della commercializzazione.
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