di ANDREA PETRINI
Nel 1978, nell’azienda di Decugnano (TR) acquistata nel 1973, oltre ai vini tipici orvietani il bresciano Claudio Barbi si mise a produrre il primo Metodo Classico mai fatto in Umbria. Dal 2019 suo figlio Enzo continua da solo, con immutata passione. Ecco cosa abbiamo assaggiato.
Sono tornato a Decugnano dei Barbi dopo sette anni, ma qualcosa purtroppo è cambiato: Enzo Barbi è rimasto solo alla guida dell’azienda, visto che suo papà Claudio è venuto a mancare nel 2019.
Tutto il resto immutato, a cominciare dalla determinazione della famiglia a costituire un punto di riferimento per la produzione dell’Orvieto Classico Doc, dell’Orvieto Classico Muffa Nobile Doc, del Metodo Classico e di IGT Umbria bianchi e rossi.
Siamo in Umbria, a pochi chilometri da Orvieto, in Località Fossatello di Corbara, al confine con Toscana e Lazio, dove Decugnano dei Barbi sorge a 350 metri s.l.m., su terreni pliocenici caratterizzati da sabbie gialle e conchiglie fossili.
L’azienda si estende su 56 ettari, di cui 32 vitati ricompresi nella DOC Orvieto. Le varietà coltivate Grechetto, Procanico, Vermentino, Verdello, Chardonnay, Sauvignon blanc e Semillon per le uve a bacca bianca; Sangiovese, Montepulciano, Syrah, Cabernet Sauvignon, Merlot e Pinot Nero per quelle a bacca rossa. In vigna, da anni, non si utilizzano pesticidi, anti-botritici, diserbanti e concimi chimici ed è iniziata la conversione all’agricoltura biologica, che terminerà nel 2024.
La storia dei Barbi in terra umbra inizia alla fine degli anni ’60, quando il nonno di Enzo, che a quei tempi comprava e vendeva vino per il mercato della Lombardia, decise di acquistare per suo figlio Claudio (papà di Enzo) un pezzo di terreno nell’orvietano, all’epoca molto di moda. “Mio papà spesso si scontrava con mio nonno sul tema della qualità del vino“, mi spiega Enzo sorridendo. “Acquistargli tre ettari di terreno ad Orvieto significava fargli fare il vino come voleva lui, lasciando al tempo stesso in pace mio nonno, che così poteva proseguire il suo lavoro senza troppe scocciature!”. Decugnano ad inizi del 1970 era in vendita e la famiglia Barbi non ci pensò due volte ad acquistare la tenuta. Per la bellezza dei luoghi e, soprattutto, per la qualità del terreno. “Mio madre è amante dello Chablis e questa terra le ricordava molto quel terroir francese“, rammenta Enzo.
Era il 1973. Claudio Barbi piantò i vitigni storici dell’Orvieto Classico (Trebbiano, Malvasia e Grechetto) e un po’ di Sangiovese e Canaiolo, iniziando una sperimentazione che riguardò anche la spumantizzazione delle uve dell’Orvieto. Il risultato furono tre vini: il Decugnano bianco, il Decugnano rosso ed il primo Metodo Classico prodotto in terra umbra. Nel 1981 l’azienda propose la prima bottiglia italiana da uve botritizzate: Pourriture Noble. Nessuno fino a quel momento si era accorto che la Botrytis Cinerea “attaccava” anche i vigneti di alcune zone dell’Orvietano.
La cantina di vinificazione è rimasta più o meno la stessa, con vasche di fermentazione in acciaio, destinate ognuna ad uno specifico vigneto. L’unica novità è che, rispetto alla mia ultima visita, ora la supervisione enologica è affidata a Riccardo Cotarella.
La parte più bella e suggestiva di Decugnano dei Barbi, come sempre, sono le grotte scavate dagli Etruschi nella sabbia, regno di quel metodo classico che Claudio Barbi, originario di Brescia e con ovvie ispirazioni franciacortine, volle tradurre in realtà nel 1978 spumantizzando le uve dell’Orvieto con l’aiuto di Corrado Cugnasco, l’enologo dell’epoca.
Ecco gli assaggi (che, visto il clima estivo, hanno privilegiato i bianchi):
Metodo Classico “Brut” 2016: da uve chardonnay e pinot nero nasce questo metodo classico la cui seconda fermentazione è avvenuta in grotta dove le bottiglie sono rimaste ad una temperatura costante di 13°C per 42 mesi. La sboccatura del primo lotto è avvenuta a fine Ottobre 2020. Lo spumante, solcato da persistenti catenelle di carbonica, è caratterizzato dal contrappunto fra soavi note fruttate di pesca gialle e mela golden, gelsomino e persistenti richiami iodati. Strutturato con sapidità ben garbata e finale strutturato decisamente sorretto dall’effervescenza che richiama continuamento l’assaggio.
Orvieto Classico Superiore DOC “Mare Antico” 2018 (55% grechetto, 20% vermentino, 20% chardonnay, 5% procanico): ex “Il Bianco” di Decugnano dei Barbi, questo vino nasce dalle migliori uve dei migliori appezzamenti della tenuta e prende il nome, fortemente evocativo, dai terreni sui cui sono piantati i vitigni e che, come scritto precedentemente, sono di origine marina e perciò ricci di fossili marini, argilla e sabbia. La 2018, come mi spiega Enzo, è stata per loro una annata complicata dal punto di vista delle temperature medie (non si arriva ai picchi di calore della 2017) e per questo motivo il vino risulta molto avvolgente ed intenso con la sua complessità fruttata che richiama la nespola, il frutto della passione, la felce e l’elicriosio. Beva suadente, in grande equilibrio sotto la spinta acido-sapida. Una significativa mineralità dona lunghezza gustativa con finale fruttato e carico di richiami olfattivi.
Orvieto Classico Superiore DOC “Mare Antico” 2019 (55% grechetto, 20% vermentino, 20% chardonnay, 5% procanico): rispetto all’annata precedente, la 2019 è stata di gran lunga più equilibrata e di questo ce ne rendiamo conto appena mettiamo il naso nel bicchiere che, stavolta, emana non sensazioni avvolgenti di frutta gialla ma fresche nuance di melone bianco, susina, pompelmo, virando poi verso nette percezioni salmastre che richiamano profondamente il terroir di provenienza del vino. Al sorso una sapidità quasi salina e la percettibile freschezza regalano tanta vivacità, lunghezza ed una beva nobile ma spensierata.
Umbria Bianco IGT “L’Inquisitore” 2019 (100% sauvignon blanc): proveniente da una vecchia vigna di Sauvignon Blanc, la quale ha dato vita ad un’edizione speciale di 1300 bottiglie nel 2016, l’Inquisitore è un vino che è nato per spazzare via alcuni pregiudizi e alcune polemiche sul sauvignon blanc tanto che, come si vede nella retroetichetta, tutti noi, nella morale di Enzo Barbi, siamo inquisitori visto che giudichiamo spesso e volentieri un vino senza nemmeno assaggiarlo. Chi identifica negativamente il sauvignon blanc solo con alte percezioni pirazine e tioli sarà notevolmente sorpreso da questo sauvignon blanc umbro che gode, anche grazie all’annata decisamente equilibrata, di eleganza e mineralità senza mai strabordare in connotazioni gusto-olfattive naif che, per anni, ci hanno tutte trasformato in (santi) inquisitori.
Umbria Rosso IGT “Il Rosso” – Special Edition A.D. 1212” 2018 (65% syrah, 20% cabernet sauvignon e 15% montepulciano): il vino, che da anni rappresenta un punto di riferimento per i rossi umbri, sfoggia una notevole complessità fatta di mora e prugna matura, seguita da una rinfrescante ed esplosiva successione di cola, radice di liquirizia; un continuo mutamento che sfocia, richiamando il syrah, in una chiusura di spezie nere indiane. Sorso voluttuoso, di sostanza, ma al tempo stesso mai seduto su se stesso grazie ad una freschezza incisiva ed an un tannino di grana fine. Si congeda lentamente e senza fretta su ricordi balsamici. Nota tecnica: la fermentazione avvenuta in acciaio. Un terzo del vino è stato affinato per un anno in barrique di rovere francese (nuove, di secondo e terzo passaggio), mentre i rimanenti due terzi sono rimasti in affinamento in acciaio. Dopo un assemblaggio meticoloso, il vino è stato imbottigliato e fatto affinare in bottiglia per altri 6 mesi.
Orvieto Classico Doc Muffa Nobile “Pourriture Noble” 2016 (55% grechetto, 45% sauvignon blanc, 5% procanico): Claudio Barbi, oltre ad essere stato il precursore del metodo classico ad Orvieto, è stato il primo (1981) a credere nelle potenzialità e nello sviluppo della muffa nobile in questo territorio. Questo muffato, perciò, da sempre rappresenta una vera e propria bandiera qualitativa di Decugnano dei Barbi che si esprime in questa bella annata su sentori di zafferano, legno di faggio, miele millefiori, albicocca disidratata, marmellata di arance. In bocca la dolcezza è sapientemente gestita grazie a sapidità e acidità del vino che, martellando, vanno a riequilibrare la morbidezza di questo muffato da farci l’amore. Nota tecnica: le uve sulle quali si era sviluppata la botrytis cinerea sono state raccolte in due successivi passaggi, nella seconda metà di settembre. Arrivate in cantina, le uve sono state immediatamente pressate in maniera estremamente soffice. La fermentazione è avvenuta in un unico tino di acciaio ed è durata un paio di mesi. Il vino è stato imbottigliato nel Novembre 2020.
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