di ANDREA PETRINI
Nato da un microvigneto di 0,2 ettari e da viti vecchie oltre 10 anni, complice una botta di frigo questo vino ha conquistato il nostro, che non sa distaccarsene e ce lo consiglia. Sempre che non se lo beva tutto lui…

 

I Colli Berici, posizionati centralmente rispetto ai più famosi Colli Euganei e ai Monti della Lessinia, rappresentano una formazione collinare di altezze modeste (300-400 metri s.l.m.), localizzata nella zona più a sud di Vicenza e formatasi circa sessanta milioni di anni fa da corrugamenti e sollevamenti tettonici. La natura dei suoli si combina in una trama di caratteri: la roccia calcarea, i terreni ad argille rosse ricchi di scheletro, quelli basaltici di origine vulcanica, l’altitudine che preserva da nebbie e gelate tardive, le ridotte precipitazioni. L’insieme di queste condizioni favorisce la coltivazione di un’ampia varietà di vitigni, la crescita di uve sane e la produzione di vini di personalità.
Dei 3000 ettari vitati dei Colli Berici una buona percentuale è dedicata alle due uve più importanti del territorio, ovvero la Garganega e il Tai Rosso. Quest’ultimo, in particolare, deriva dal vitigno chiamato un tempo Tocai Rosso che, geneticamente, appartiene alla stessa famiglia del Cannonau sardo, del Grenache francese e della Garnacha spagnola.
La leggenda narra che il Tai rosso sia arrivato nei Berici per mano di un falegname che, al termine del servizio militare nel Comitato ungherese dello Zemplen (ai tempi di Maria Teresa d’Austria), importò a Barbarano Vicentino, sua città natale, alcune barbatelle di questo vitigno che aveva visto coltivare e vinificare nella zona del Tokaji. La versione storicamente e documentata, però, considera il Tai rosso un dono ricevuto nei secoli scorsi dai vescovi di Vicenza, feudatari di Barbarano e ospiti a più riprese ad Avignone, i quali avrebbero portato e piantato nel territorio dei Colli Berici dei tralci di uve provenzali del Vaucluse.
Di sicuro, poi, c’è che dei Colli Berici e dei suoi vitigni si è innamorata nel 1994 la famiglia de’ Besi, che dopo varie esperienze nel campo della zootecnia ha voluto puntare, acquistando una proprietà tra Lonigo e Sarego e fondando l’azienda Punto Zero, sulla viticoltura. Il progetto prenderà però vigore solo nel 2006, quando i de’ Besi incontrano Celestino Gaspari, allievo di Giuseppe Quintarelli e consulente per varie aziende in Valpolicella, grazie al quale intraprenderà il percorso che porterà l’azienda Punto Zero, con una superficie vitata di 11 ettari divisa tra Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Carmenere, Tai Rosso, Pinot Bianco e Incrocio Manzoni. La messa in commercio delle prime bottiglie risale al 2015.
Tornando al Tai Rosso, proprio pochi giorni fa mi sono imbattuto nel loro Tai Rosso 2016 prodotto da vigneti (appezzamento di 0,20 ha) con una media di 10 anni di età e una resa di appena 60 quintali/ha. In generale, il Tai Rosso è un vitigno che dà vita a vini dal colore rosso molto scarico, quasi chiaretto, la cui forza è rappresentata, come in questo caso, da un bouquet leggiadro, primaverile, con effluvi di frutti di bosco e rose rosse.
Al sorso la musica non cambia, c’è tanta soavità di rosso, nonostante il grado alcolico prossimo a 14,5, grazie ad un tannino praticamente assente che rende la beva scorrevolissima. Praticamente irresistibile se, come me, lasciate la bottiglia un paio d’ore in frigo per portarla a 13°.
Ecco, ho trovato il mio rosso estivo per eccellenza.
Chissà se gli altri IGP sarà altrettanto!

 

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