di ANDREA PETRINI
Una “zingarata“ nel Ponente ligure dà l’opportunità di un assaggio a volo d‘uccello sulla produzione 2019, con una commovente chicca finale.

 

Non mettevo piede a Dolceaqua e dintorni da almeno cinque anni. Tanto, troppo tempo, anche se non ho mai smesso di bere Rossese. Ritornare in questi luoghi a me cari, sospesi tra cielo e mare, mi riempie di entusiasmo, soprattutto perché una full immersion di tre giorni tra vigne e cantine, coccolato dai principali vignaioli della denominazione,  mi ha permesso di capire come questo vino sia passato in poco tempo dall’essere un vino di nicchia a diventare oggi una grande realtà del nostro panorama enologico italiano. Grazie ad Armando Castagno e al grande lavoro svolto sulle Menzione Geografiche Aggiuntive (MGA) o nomeranze, come si dice in Liguria, da Alessandro Giacobbe, Filippo Rondelli dell’azienda Terre Bianche e tutti i produttori del territorio.

I vignaioli del Rossese di Dolceacqua sono infatti un gruppo coeso e determinato. Le loro vigne si trovano lungo due valli, la Val Nervia e la Val Verbone, in provincia di Imperia, che tagliano per venti km il Ponente della Liguria a due passi con la Francia, creando un asse nord-sud che racchiude quattordici comuni dalle Alpi Liguri fino al mare. Facile dedurre, e da qui l’esigenza delle MGA (ovvero cru), che all’interno della denominazione vi siano tanti terroir differenti (qualcuno ne ha ho contati fino a cinque) dovuti alla minore o maggiore vicinanza delle vigne al mare, alla loro esposizione, all’influenza dei venti e, soprattutto alla diversa matrice geologica del terreno.  Il quale si divide in tre categorie:

–  Flysch di Ventimiglia, chiamato localmente “sgruttu”, che fa riferimento a marne e arenarie scistose di origine marina;

Conglomerati di Monte Villa, ovvero ciottoli arrotondati più o meno cementati di matrice sabbio-marnosa;

Argille di Ortovero, dette anche Marne Blu, caratterizzate da depositi sabbio-argillosi del pliocene ricche di conchiglie e depositi fossili.

Tornare tra i produttori di Rossese di Dolceacqua mi ha anche consentito di assaggiare i vini dell’ultima annata in commercio, la 2019, così descritta da Filippo Rondelli: “Al momento della vendemmia le uve erano sane, il raccolto poco abbondante e quindi la pianta era in una situazione di equilibrio che le ha permesso di portare a maturazione l’uva senza stress, con uva di ph molto bassi, acidità elevate e ottimo stato sanitario. Elementi che già ti permettono di avere un’idea su saranno i vini: buona struttura, complessità e finezza. Tutti siamo soddisfatti, dopo una 2018 senza alti picchi qualitativi e vini ‘piccoli’, eleganti sì, ma a volte un magri”.

Durante la cena di commiato alla Trattoria Terme di Pigna, regno di capra e fagioli, ho degustato queste etichette:

Ka Mancine – Rossese di Dolceacqua “Galeae” 2019.

Proviene da una vigna dei due cru di Maurizio Anfosso, che di norma dà vini più pronti e rotondi. Ne è la prova questo un rosso di grande succosità che regala una esplosione olfattiva di frutta rossa e sensazioni balsamiche. Al palato è corposo e saporito, compatto e perfettamente equilibrato; il finale è lungo, appagante, ricco di richiami aromatici. Nota: il Beragna 2019, cru aziendale ad esposizione nord che fornisce sensazioni più cupe e marine del Galeae, è in fase embrionale ed ha ancora bisogno di tempo.

Maccario-Dringenberg – Rossese di Dolceaqua 2019.

Proveniente da sei appezzamenti nel comune di San Biagio alla Cima, è l’unico Rossese di Giovanna Maccario non da singolo Cru. Ineccepibile per approcciarsi al vitigno, si caratterizza per corpo leggiadro e sinuoso, naso avvolgente e ricco di erbe riferibili di macchia mediterranea come lentisco, timo e mirto, a cui associo sempre un pizzico di pepe bianco. In bocca accarezza il palato con freschezza e disinvoltura e si fa ricordare grazie ad un finale di poderosa sapidità. P.s.: Giovanna sta imbottigliando ora tutti i suoi Cru 2019, ne vedremo delle belle….

Terre Bianche – Rossese di Dolceacqua 2019.

Filippo Rondelli è il più “secchione” tra tutti i produttori di Rossese ed ha la stessa eleganza quasi british che si ritrova nei suoi vini. Ne è l’ennesima prova questo 2019, che ha un imprinting olfattivo di gran classe: fragoline, violetta, agrumi, selce, interludi di erbe aromatiche essiccate. Al sorso incanta per l’intensità sapida e la freschezza tattile. Non è un mostro di complessità come il suo fratello maggiore Bricco Arcagna, ma si lascia bere che è una meraviglia. Da provare sul coniglio porchettato. Sublime abbinamento.

Vignaioli Nino ed Erica Perrino Rossese di Dolceacqua 2019.

Zio e nipote rappresentano passato, presente e futuro della denominazione e questo Rossese di Dolceacqua è la dimostrazione che l’amore per il territorio e il suo vino non ha età, annullando ogni tipo di differenza generazionale. Il vino, vinificato naturalmente anche con la presenza di raspi, ben rappresenta il millesimo generoso, vivo, compatto nell-espressione fruttata e floreale del naso, mentre al gusto è di pari spessore e ricchezza, pieno, saporito, armonioso e di buona persistenza sapida. Rossese di Dolceacqua assolutamente didascalico e tenace come le vigne, anche centenarie, da cui proviene!

E Prie – Rossese di Dolceacqua 2019.

Lorenzo, poco più che ventenne, è il figlio di Alessandro Anfosso (Tenuta Anfosso) e a lui e a suo nonno ha rubato i segreti del mestiere. Questo Rossese nasce da terreni coltivati in due cru specifici, in Fulavin e ai Pini, entrambi a Soldano, e fin da subito si fa apprezzare per il carattere e la precisione stilistica. Al naso incanta per ricchezza aromatica giocata su tocchi di marasca, mora di gelso e violetta a cui seguono leggeri ma variegati toni di pepe e spezie orientali. Al sorso è piacevole, ricco ma al tempo stesso bilanciato da una corroborante dotazione acido-sapida. Il tempo non potrà che migliorarlo. Il sorpasso al papà è già in vista, vero Lorenzo?!

Maixei – Rossese di Dolceacqua 2019.

Vino della storica cooperativa del Ponente ligure, che porta il nome dialettaledei muretti a secco che sostengono le fasce di terra destinate alla coltivazione del Rossese. Il vino è assolutamente gradevole e soddisfacente nella sua semplicità, ha sentori nitidi di ribes rosso, mora ed erba medica. Al palato è succoso, rustico, privo di orpelli e proprio per questo assolutamente franco nella sua dimensione territoriale e, perché no, sociale.

 

Bonus track: Tenuta Anfosso – Rossese di Dolceacqua “Novanta” 2016.

Non è un 2019, ma va recensito per la sua storia: è il Rossese che Alessandro ha voluto produrre per i novant-anni anni di suo papà Luciano, faro sia nella vita che nel lavoro. Era tutto pronto e imbottigliato, ma il destino a volte fa scherzi meschini e papà Luciano se ne è andato qualche giorno prima del compleanno, quindi non ha mai degustato questo vino che sa di amore e passione, sogni e incazzature ma, soprattutto, di famiglia e principi morali ben solidi. Grazie Alessandro per averlo condiviso con tutti noi!

 

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