di ROBERTO GIULIANI
Barolo Monvigliero 2017 Burlotto: anche se il mitico vino di Fabio Alessandria non è al meglio delle sue possibilità, se proprio vogliamo aprirne una bottiglia, questa è l’unica annata possibile (salvo andare molto indietro nel tempo).

 

No, non fraintendetemi: il mitico Monvigliero di Fabio Alessandria non è al meglio delle sue condizioni neanche in un’annata dall’estate rovente e prolungata come la 2017. Ma è un fatto che se proprio vogliamo aprirne una bottiglia, questa è l’unica annata possibile, a meno che non si vada fortemente indietro nel tempo.

Detto questo, la vita è breve, fuggevole, la salute non è sempre la stessa, aspettare ogni volta il momento opportuno è un rischio che aumenta con il passare dell’età e io non intendo correrlo, soprattutto con un cru che per me rappresenta uno dei più affascinanti di tutta la Langa, posizionato sulla collina su cui si erge il poetico comune di Verduno.

Ma bando alle ciance.

Osservo quel timbro luminoso, granato trasparente con ricordi rubini, che sentenzia la presenza di un grande Nebbiolo.

Lo accosto al naso (che essendo piuttosto lungo non fatica a raggiungere una certa profondità nel calice Bourgogne della Zalto, ma questo è un dettaglio…) e mi immergo in quelle note che da sempre mi incantano: viola, liquirizia, oliva, arancia sanguinella, prugna, cardamomo, cannella, cenni di tabacco scuro, nouances di spezie officinali e quella sensazione di sottobosco che mi capita di sentire in presenza delle querce.

All’assaggio si fa notare la componente alcolica (che non arriva a 15 gradi) non tanto per l’effetto pseudocalorico, quanto per l’avvolgenza che fornisce a frutta e spezie, qui in bella evidenza, su una trama tannica quasi dolce; finale profondo e suggestivo che sussurra: “ho appena iniziato a stupirvi”. Che dire…

 

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