di STEFANO TESI
Nell’era della condivisione, mettere in comune palato e conoscenze può aiutare a individuare la giusta via. Così Alois Lageder organizza degustazioni sperimentali che gli servano da “comete” (non a caso, il nome della linea meno ortodossa dei suoi vini).
La memoria sensoriale fa miracoli, basta metterla alla prova. Solo che non è frequente trovare qualcuno pronto a chiamarla al cimento.
Ci prova Alois Lageder, anzi Alois Clemens Lageder, figlio e delfino del celebre vignaiolo altoatesino, con un’operazione itinerante (noi abbiamo partecipato a quella fiorentina, presso la Trattoria Moderna) che è al tempo stesso di marketing, di formazione e di socializzazione, ribattezzata “La diversità dell’Alto Adige – Degustazione di componenti“.
Che la casa vinicola di Magrè (BZ) sia abilissima nel comunicare il proprio lavoro è cosa risaputa, ma bisogna ammettere che stavolta la trovata è particolamente brillante e, soprattutto, utile per tutti. Giornalisti compresi.
Consiste in questo: prendi una dozzina di vini aziendali, scelti come idonei a veicolare il messaggio (e non necessariamente tutti pronti, anzi la maggior parte campioni da botte), li raggruppi sotto quattro temi fondamentali in base ai quali assaggiarli comparativamente, li sottoponi quindi a un gruppo di giornalisti, sommelier, distributori e addetti ai lavori e infine apri il dibattito su impressioni, opinioni, prospettive.
Ecco i temi e i vini prescelti per l’occasione:
– “Geologia e clima” (ovvero come il vino muta in funzione di questi due fattori), con Muller Thurgau 2017 della bassa atesina e Muller Thurgau 2017 della Val d’Isarco.
– “L’uomo” (ovvero la sua interazione col vino attraverso la scelta consapevole di tecniche agronomiche, enologiche etc), con Porer 2017 (ovvero Pinot Grigio) in tre diversi campioni da botte ottenuti con vinificazione classica, con macerazione di 12 ore del grappolo intero e con vinificazione del grappolo intero nel mosto per 6 mesi e Porer 2016.
– “Vitigni Tradizionali & Nuovi” (quindi esperimenti con varietà non autoctone o vinificazioni “diverse” di varietà autoctone) con Blatterle, Incrocio Manzoni, Schiava e Tannat, tutti “Comete”, cioè parti della linea aziendale di otto “vini-laboratorio” destinati alla ricerca e all’innovazione, ancorchè regolarmente in commercio.
– “Periodo di Vendemmia” (come uno stesso vino può cambiare in base al tempo di raccolta e al taglio tra le diverse partite da ciò ricavate) con Cor Römigberg (Cabernet Sauvignon) 2016 a vendemmia precoce, Cor Römigberg a vendemmia ritardata e Cor Römigberg 2015 (già in bottiglia).
Dettaglio fondamentale: la soggettività dei giudizi e anche la sospensione dei medesimi, senza pretese ed anzi con quasi esplicito divieto di ricerca di conclusioni assolute.
I risultati sono stati egregi, anche perchè dal vino in sè il discorso si è forzatamente e subito esteso, come Clemens desiderava, alle sue implicazioni: la tecnica di coltivazione convenzionale, biologica e biodinamica, l’impatto paesaggistico e ambientale della viticoltura alle diverse quote, la necessità da un lato di difendersi da e dall’altro di assecondare i cambiamenti climatici in atto, con l’opportunità/bisogno dei produttori di sperimentare e di creare vini “effimeri“, cioè magari destinati a entrare e a uscire presto dalla produzione secondo l’evoluzione dei diversi elementi (questo il senso della linea delle “Comete“) non solo in ragione del mercato ma di altri fattori. L’evoluzione, pure, delle tecniche agronomiche in termini non soltanto di ratio economica ma di processo sociale.
Fatale che la chiacchierata si accendesse, meno ovvio che l’assaggio desse i risultati che ha dato.
Se infatti non era difficile prevedere che l’opulento e ammiccante (ma venduto sfuso, dettaglio non secondario) Muller Thurgau 2017 dal calcare dolomitico della Bassa Atesina risultasse meno fine ed elegante del fresco e biodinamico omologo eisacktaler, non lo erano affatto le quasi abissali differenze tra i diversi campioni di Porer, nè i risultati del taglio soggettivo che ognuno dei degustatori ha potuto fare con i tre vini, simulando il blend del 2016 (70% da vinificazione classica, 20% da macerazione breve e 10% da vinificazione a grappolo intero).
Coinvolgente, e non poteva essere diversamente, la degustazione della “Cometa” Bla XVI (Blatterle 100% (antico e raro vitigno altoatesino), del Fòrra Bianco 2016 (Incrocio Manzoni, secondo Lageder “il vitigno del futuro per l’Alto Adige” per la sua capacità di mantenere la freschezza), del Natsch XVI (un’altra “Cometa” da una Schiava dell’area di Caldaro vinificata a grappolo intero) e soprattutto del Tan Sai XVI (“Cometa” altamente sperimentale, 100% Tannat vinificato come un rosato, dal naso molto semplice ma dalla bocca profondissima).
Biodinamica spinta, infine, con i tre Cor Römigberg, da un vigneto presso Caldaro coltivato da cinque anni in collaborazione con un caseificio che porta le vacche a pascolare in vigna, arricchendola con il letame: marcatissime le differenze tra i campioni a vendemmia precoce e ritardata che poi, in bottiglia, vanno in blend al 30 e al 70%.
Sintesi: se fuori dal tecnicismo si lasciano parlare prima i sensi e poi la lingua, l’accrescimento conoscitivo è enorme e anche la “comunicazione” dell’iniziativa recupera almeno in parte la propria vocazione originaria di flusso di informazioni con uno scopo e un’origine, ma più trasparenti.
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