di CARLO MACCHI
Come parziale testimone papillare devo ammetterlo: è diventata una sorta di periferia di Livorno e quindi vice caput mundi del cacciucco. Soprattutto se abbinato ad ottimi amici e a un gran Chianti Classico.
I livornesi e tutti quelli che si sentono chiamati in causa sulla primogenitura del cacciucco stiano tranquilli. In questo articolo non vogliamo attentare alla maternità cacciucchesca ma solamente prendere atto di uno sviluppo geografico molto positivo (almeno per me) che questa storica zuppa ha avuto.
Nessuno infatti nega che abbia natali labronici, che sia stata concepita dai pescatori con il pesce più povero esistente in barca. Siamo di fronte a una zuppa di pesce corposa, un po’ “figlia di buona pesca” (se ci è permesso il termine) non solo nel senso che nasceva dagli esuberi del pescato, ma da tanti pesci e non da un solo padre ittico: nel tempo è assurta a simbolo di zuppa di pesce, con tutte le diversità (labronica, viareggina e via cantando) che possono incunearsi in un piatto testualmente melting pot.
Vi faccio degli esempi per spiazzarvi: ci vuole o non ci vuole una foglia di salvia sotto o sopra al pane? Quali pesci vanno cucinati per il brodetto? Di questi solo la testa o il pesce intero? Quanto pomodoro? Cotture separate o assieme e a scalare? Cicala sì o cicala no? Il gamberone è stata una concessione all’opulenza della civiltà dei consumi?
A voi le ardue sentenze, perché con questo articolo voglio solo informarvi e farvi sbavare. Avete letto bene, sbavare. Come bambini davanti al negozio di caramelle, con la commessa stronza che si gusta un bonbon nel mentre allestisce la vetrina.
Ma prima diamo tempo al tempo e partiamo dal termine della Seconda Guerra Mondiale.
A Poggibonsi, cittadina al centro del mondo del Chianti nonché dotata di ferrovia importante e quindi di adeguati collegamenti, da tempo esiste un locale che si chiama Alcide. Nato come mescita di vino e poi trattoria, nel tempo si è piano piano convertito a ristorante.
A un certo punto scatta la scintilla: i fratelli Ancillotti, che hanno ottimi collegamenti con la costa, decidono di dedicarsi alla cucina di pesce. La loro fortuna è la sorella, grande cuoca, e il momento economico, che permette al pesce di essere “sdoganato” come consumo non dico giornaliero ma quasi. La ciliegina sulla torta è l’idea di proporre un piatto che più tipico non si può: il cacciucco. Il resto è storia e una storia molto saporita e gustosa che, alla faccia di labronici invidiosi, ha visto Alcide (a 80 km dal mare) proporre da almeno 70 anni un cacciucco famoso in tutta Italia.
Veniamo a oggi. Sono passati appena dieci giorni dal Cacciucco Day, grande sfida annuale a base di cacciucco tra Alcide e, per quest’anno, un grande locale come La Pineta a Marina Bibbona (ciao Luciano, caro amico e grazie di tutto!) e solo ora mi sono reso conto di come questo piatto sia entrato nei cromosomi di noi poggibonsesi.
Infatti venerdì 22 novembre mi ero gustato le due buonissime maniere di declinare il cacciucco di Alcide e de La Pineta, che Burton Anderson (sì, proprio lui, il grande giornalista che ha fatto conoscere il vino italiano al mondo trenta anni prima di qualsiasi Wine Spectator) mi propone una cacciuccata in un ristorante “terzo”, come La Galleria, sempre a Poggibonsi.
Questo ristorante non solo è famoso per la sua cucina di pesce assolutamente gaudente e solare, ma è un locale dove io sono di casa e dove Burton si sente a casa. Quindi stabiliamo la data (3 dicembre, a pranzo) e Burton invita anche un personaggio che tutti oggi vorrebbero a tavola, quel Francesco Martini di Cigala che assieme ai fratelli firma i vini di San Giusto a Rentennano, compreso il Chianti Classico 2016 valutato da Wine Spectator come terzo miglior vino al mondo.
Quindi la formazione a pranzo il 3 dicembre da Michele Targi a la Galleria è la seguente: il sottoscritto, Burton, Francesco, mogli varie, Chianti Classico San Giusto a Rentennano 2016, altri cinque vini di altissimo livello e, come unica punta, un cacciucco stratosferico!
Michele Targi lo conosco da più di venti anni e in tutto questo tempo non mi aveva mai proposto questo piatto, cucinato con una pazienza e una maestria assoluta. Lo perdono solo perché siamo amici e soprattutto perché chi prepara un cacciucco del genere va tenuto buono.
Mentre assaporavo questa squisitezza, gustavo il difficile ma riuscitissimo matrimonio del Chianti Classico San Giusto 2016 con quel “bendiddiodipesce” e chiacchieravo amabilmente con i commensali, mi è venuta in mente una definizione di mia moglie.
Lei divide i ristoranti, al di là di graduatorie stellate vere o presunte, tra quelli che “assemblano” e quelli che “cucinano”. Per preparare un grande cacciucco non basta saper assemblare pezzi di pesce, bisogna conoscere bene il pesce e soprattutto occorre saperlo cucinare! E Michele non solo lo ha cucinato in maniera divina, ma ci ha anche spiegato per filo e per segno come ha fatto (ma questo me lo tengo per me).
Mentre lo ascoltavo inviavo mentalmente un ringraziamento a Alcide, che ha permesso a una cittadina dell’entroterra come Poggibonsi di avere ben due locali che cucinano un grande cacciucco e soprattutto ha fatto capire come, se si ha maestria e grande materia prima, si possa prepararlo sontuoso.
Ma qui da noi ormai il cacciucco è di casa e la dimostrazione è la frase di Burton e di Francesco alla fine del pranzo: “Il miglior cacciucco della nostra vita!”.
Prossimamente gli farò gustare anche quello di Alcide e sono convinto rimarranno colpiti anche da quella versione.
Per questo ho deciso: sul cartello stradale che recita “Poggibonsi” proporrò al sindaco di far scrivere “Città del cacciucco!”
Provare per credere!
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