di LUCIANO PIGNATARO
L’affascinante parabola “moderna” di un’uva campana autoctona e antica, ma con poco “storico”, attraverso una magnum ritrovata per caso in cantina: Sensus Pallagrello 2008 Le Masserie.
Quanto vive il Pallagrello Nero? Beh, almeno quanto l’Aglianico, sebbene abbiamo uno storico che non va oltre il 1998, primo anno di vinificazione dell’azienda Vestini Campagnano, quando Manuela Piancastelli, il marito Peppe Mancini e l’avvocato Amedeo Barletta iniziarono questa avventura con il supporto di Luigi Moio.
Certo dopo i dieci anni è ancora bello pimpante, come abbiamo avuto di accertare con questa magnum del 2008 di una piccola azienda, La Masserie, adesso condotta da Sara Carusone.
Siamo conservatori (nelle bottiglie) e questa era sepolta in cantina dopo una visita all’azienda di Bellona, in provincia di Caserta, fatta nel lontano 2012. Nonostante il vino avesse già quattro anni, decisi di aspettare.
Le cantine, si sa, sono un po’ come le biblioteche, soprattutto quelle di campagna dove bottiglie vanno su bottiglie non sempre con un ordine preciso. Proprio durante un repulisti generale ho pensato che fosse arrivato il momento di aprire il Sensus 2008 de La Masserie per abbinarlo ad un bel ruoto di pasta alla siciliana al forno.
Il tema dell’invecchiamento è quello che più mi affascina nel mondo del vino: quando aprire una bottiglia? E’ giusto averle subito pronte o, piuttosto, il bello è capire quando l’evoluzione è allo zenith per stapparla.
Solo l’esperienza ce lo può dire con chiarezza, ma nel caso del Pallagrello, appunto, non abbiamo un grande storico e si procede a tentativi. Siamo abbastanza sicuri della sua longevità per la vena acida prepotente, i tannini, l’alcol che lo hanno fatto confondere con l’Aglianico per lungo tempo nonostante il grappolo piuttosto spargolo.
Rispetto all'”Aglianico”, il “Pallagrello nero” presenta tutte le fasi fenologiche anticipate di circa 7 giorni. Infatti, il germogliamento avviene tra la prima e la seconda decade di aprile; la fioritura è a cavallo tra maggio e giugno; l’invaiatura cade tra l’inizio e il 20 di agosto, mentre la vendemmia va programmata per la prima decade di ottobre.
Gli studi condotti da Antonella Monaco evidenziano che il Pallagrello mostra una produttività maggiore rispetto all’Aglianico, vitigno utilizzato nella sperimentazione come varietà di riferimento. Infatti, la produzione unitaria e il peso medio del grappolo sono stati sensibilmente più elevati per il Pallagrello nero rispetto all’Aglianico (6.14 kg/pianta contro 3.34 kg/pianta per la produzione; 251,2 g. e 171 g per il peso del grappolo). Maggiore è anche il vigore vegetativo, come risulta dalla valutazione della quantità di legno di potatura invernale (1.37 kg/pianta contro 1.02 kg/pianta per il legno).
Di questa uva ci sono al momento poche tracce storiche, e aspettiamo con ansia il prossimo libro di Manuela Piancastelli sul tema, sappiamo che Ferdinando di Borbone lo aveva inserito, insieme al Pallagrello Bianco, nella famosa Vigna del Ventaglio voluta dalla casa reale, sempre attenta alla viticultura e all’agricoltura, con le varietà più diffuse, ciascuna delle quali costituiva un filare. Oggi è diffusa soprattutto in provincia di Caserta, principalmente nei comuni di Alife, Alvignano, Caiazzo e Castel Campagnano dove era chiamata Coda di Volpe nera a causa della forma del grappolo.
Come speso capita in campagna, il successo è imitato e dopo quello della Vestini Campagnano, soprattutto dopo i successi di Terre del Principe fondata da Manuela Piancastelli con Peppe Mancini sempre sostenuti da Luigi Mio, molti hanno cominciato ad imbottigliarlo in purezza con buoni risultati. Si è trattato di una vera e propria piccola rivoluzione in questo territorio incontaminato che ha segnato un ulteriore passo in avanti della Campania verso la scelta di usare solo vitigni autoctoni, strategia culturale e commerciale che si è rivelata vincente a questa regione perché ha potuto surfare l’onda italiana nonostante le sue piccole dimensioni produttive.
I ritardi di organizzazione e di cooperazione fra le aziende non hanno favorito l’espandersi della fama di questa uva che resta però una chicca interessante per tutti gli appassionati proprio per le caratteristiche del vino che ne fanno un rosso rustico, di corpo, gastronomico, piacevole.
Proprio come questa vecchia magnum, in cui i tannini sono stati levigati dal tempo presentando un naso ricco di frutta ancora fresca in una cornice leggermente fumè, al palato una freschezza in buon equilibrio anche grazie al rapporto fra frutto e legno molto ben giocato.
Pubblicato in contemporanea su