di ROBERTO GIULIANI
Il Monocromo#1 2016 di Mario Macciocca è una Passerina del Frusinate che sfida il tempo e ci riesce! “E’ semplicemente buonissimo“.
Se qualcuno penserà che alla fine cinque anni non sono tanti, si ricordi che non stiamo parlando di un grande Chardonnay in legno o, per restare in Italia, di un Fiano di Avellino o di un Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Quella di cui parliamo è infatti una Passerina del Frusinate, un vitigno capace di alte produzioni in vigna e le cui origini non sono del tutto: la fanno parente stretto del Trebbiano di Teramo e del Pagadebit.
E comunque non è un’uva nota per la sua longevità. La guida “Vitigni d’Italia” di Calò, Scienza e Costacurta, dichiara che “…il vino presenta un colore variabile tra il paglierino e il giallo, di sapore asciutto, pieno, non adatto all’invecchiamento”. E più avanti: “Può essere utilizzato fresco o dopo un breve appassimento. Solitamente in uvaggio con altre uve bianche, raramente in purezza”.
Ma io rispondo: beh, dipende!
In questo caso la differenza la fanno le mani e la testa di Mario Macciocca.
Il Monocromo #1 è infatti un’altra storia, un vino che nasce dalla volontà di rispettare al 100% l’ambiente e l’ecosistema, di assecondare la vigna senza mai forzarla. In vigna solo rame e zolfo in quantità minime, in cantina fermentazione spontanea, niente solforosa aggiunta, insomma un bianco che per molti diffidenti è inconcepibile, rischia grosso, non è possibile che non vada alla deriva in tempi brevi.
Invece mi spiace deluderli, il Monocromo#1 2016 è semplicemente buonissimo, intenso, pulito, salmastro, profuma di aghi di pino ed erbe aromatiche, di uva passa e nespola, guizzi di nocciola, ricordi di ginestra.
Al palato un’acidità precisa rende il sorso asciutto, pieno, molto fruttato con cenni di confettura, non ha cedimenti, è lungo e rilascia le note di pesca gialla, nocciola e nespola, il finale è salino, avvincente, un esempio di come spesso si giudica male un vitigno, solo perché non è stato allevato nel posto e nel modo giusto.
Peccato perché era l’ultima bottiglia in mio possesso…
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