di ANDREA PETRINI
Va giù come una birra nel Sahara d’agosto, dice il nostro, ma il bello è che per far nascere questo vino giù d’agosto dovette scendere la grandine. Ecco la storia d’un Teroldego tutto da bere.
E’ dal 1984, anno in cui ha preso in mano le redini dell’azienda, che Elisabetta Foradori sta cambiando la storia del vino trentino e, forse, anche di quello italiano. Testarda e determinata fin dai suoi esordi, ha puntato forte sul Teroldego coltivato sui suoli alluvionali di Campo Rotaliano arrivando, attraverso un’attenta selezione massale, al riconoscimento di ben 15 biotipi di questa uva, da cui è nato nel 1986 il “mitico” Granato. Da allora molto è cambiato in Foradori, soprattutto agronomicamente visto che dal 2002 le coltivazioni sono state convertite totalmente alla biodinamica ricevendo, nel 2009, anche la certificazione Demeter.
La voglia di sperimentare e, per certi versi, di stupire di Elisabetta Foradori ultimamente l’ho trovata condensata non tanto nella nuova impostazione stilistica del Granato, di cui magari parlerò in altro post, ma nel suo Lezèr, aggettivo trentino che significa leggero. Un cammino che, come ben descritto nel sito aziendale, parte con l’idea di cominciare a vinificare il Teroldego dei mesi caldi. L’occasione arriva con la grandine di agosto 2017 che, avendo danneggiato il 40% del raccolto, ha involontariamente offerto l’occasione giusta per tentare l’esperimento. L’uva delle vigne colpite usata infatti per una serie di prove di vinificazione a breve macerazione da cui, poi, è nato l’assemblaggio del Lezèr: anfora, legno, cemento e acciaio, in lotti separati e mai con più di 24 ore di permanenza sulle bucce.
Il risultato è un Teroldego in purezza dal colore rubino tenue, quasi rosato, nato per essere bevuto e non contemplato. Non troverete nel Lezèr grandi complessità aromatiche, è un vino semplice e diretto che profuma di fragola e rosa il cui richiamo alla leggerezza, insito nel nome, si deve soprattutto alla beva che, supportata da una struttura agile, è talmente irresistibile e succosa (anche grazie ad una gradazione alcolica di appena 12,5%) da garantire il consumo dell’intera bottiglia come se si bevesse una Peroni ghiacciata nel Sahara ad agosto.
Pubblicato in contemporanea su