di CARLO MACCHI
Dopo la degustazione organizzata da Donatella Cinelli Colombini e le Donne del Vino della Toscana, una proposta provocatoria: e se il canale giusto per dare una scossa a un mercato asfittico fossero i fast food“?
Una bella degustazione di vini passiti e vin santo per me è sempre attraente, se poi l’organizza la vulcanica Donatella Cinelli Colombini assieme alle Donne del Vino della Toscana l’attrazione è ancora maggiore e se poi è incentrata su dodici vini prodotti da altrettante produttrici come fai a non andarci?
Quindi, accompagnato da una giornata meravigliosa eccomi seduto ad assaggiare, alla Fattoria del Colle a Trequanda, dall’Aleatico al Moscadello, da passiti a base Sauvignon-semillon fino al Traminer aromatico, con il piatto forte di sette vin santo e un occhio di pernice. Questo il quadro generale, gestito in degustazione da Gianni Fabrizio, che ha fatto capire come conoscere la materia porti sempre a fare domande giuste alle persone giuste.
Devo proprio ammettere che i vini passiti proposti, spesso di ottima qualità ma un po’ omologata verso l’alto, sono una ventata di meravigliosa diversità e non possono che lasciare indelebili sensazioni. Questo hanno fatto i campioni degustati, tutti di ottima fattura, con sfaccettature particolari e intriganti aromaticità.
Ma assaggiando ho sentito fare sempre discorsi vecchi di decine di anni sul fatto che il vinsanto (preso ad esempio da ora in poi per tutti gli altri passiti toscani e italiani) si vende e si consuma sempre meno, anche perché a tavola non ha abbinamenti se non con formaggi a fine pasto, oppure (la scoperta degli ultimi 30 anni…) con un paté di fegato o fois gras, meglio se con i crostini neri toscani. Però dopo un vinsanto cosa bevi?
Questo è un po’ un gatto che si morde la coda perché se è vero che i vini passiti si bevono sempre meno, provare a promuoverli abbinandoli a cibi che si mangiano sempre meno e magari solo in determinate zone porta inevitabilmente al punto di partenza.
Per fortuna durante la degustazione ho sentito anche spunti interessanti. Per esempio ci si è domandato cosa vuole veramente il consumatore (passiti molto concentrati o più beverini?), che comunque se ne vende più in azienda che sul mercato, che potrebbe essere (e spesso è) un ottimo regalo specie se venduto in astuccio, che questo settore potrebbe (magari portando i prezzi a valori più alti e reali, nonché proponendo invecchiamenti molto lunghi) toccare il ricchissimo mercato dei collezionisti di vino.
Molte buone idee, ma in questo articolo vorrei cercare di andare oltre e provare a fare alcune proposte forse iconoclaste, forse impossibili da mettere in pratica, ma che potrebbero essere il punto di partenza per dare una scossa a un mercato piccolo e sempre più asfittico.
Per prima cosa vediamo di mettere in fila alcuni punti:
- Il vinsanto (e qualsiasi altro vino da uve passite) è un vino della tradizione e spesso si parla di tradizione familiare.
- E’ di nicchia la produzione di ogni singola cantina, specie rispetto agli altri vini aziendali ed è di nicchia anche la produzione globale.
- Quindi è un vino che non ha massa critica.
Ogni produttore propone la sua bottiglia, ognuna di forma diversa, scomponendo quindi “l’atomo vinsanto” in tanti “protoni o neutroni enoici” e rendendone quasi impossibile la conoscenza e la ricerca per un consumatore. La prima proposta che mi viene da fare è semplicissima: creare e utilizzare una bottiglia unica per il vinsanto (per il Recioto, per lo Sciacchetrà, etc).
Capisco che ogni produttore tenga al proprio brand e che mettere d’accordo tante teste sia una cosa quasi impossibile, ma così il vinsanto avrebbe una visibilità moltiplicata per il numero delle aziende produttrici, cioè decine e decine di volte maggiore.
Mille obiezioni: chi si prende l’incarico? Con quali soldi? Chi gestisce il tutto? Chi sceglie? Queste e mille altre, ma alla fine tutto sbatte sull’individualismo che ogni produttore di vinsanto, ogni famiglia produttrice vuole dare al suo micro-prodotto. Però così non si va da nessuna parte (fermo restando che ci si voglia andare…) e quindi smettiamola di discutere.
Proviamo comunque ad andare oltre.
Il vinsanto (e tutti gli altri passiti) abbiamo detto è un vino di tradizione spesso familiare. Ogni produttore e ognuno di noi che ha una certa età, quando pensa ad un vinsanto lo mette assieme a momenti particolari, a ricordi, a pranzi o cene con abbinamenti ipertradizionali.
Questo è l’errore che facciamo tutti: di vederlo sempre e comunque legato a matrimoni spesso infelici per il mercato cioè, come detto sopra, con prodotti tradizionali e di nicchia, tipo formaggi erborinati o molto stagionati, paté, crostini etc.
Inoltre questi prodotti, oltre ad essere “da centellinare” non vengono spesso utilizzati dai consumatori giovani o di altri paesi, che però amano altri piatti che, guarda caso, potrebbero essere abbinati benissimo con un vino passito. Vogliamo parlare delle molte varianti speziate-piccanti-dolci-umami della cucina asiatica? Ma soprattutto, scusate, quell’insieme di dolce-salato-hamburgerato-salsato-insalatato-informaggiato-impaninato che è un hamburger delle grandi o piccole catene fast food planetarie, non pensate possa andare bene con un sorso di vinsanto? Del resto, quando lo mangiamo (anch’io, lo ammetto), ci beviamo assieme una bevanda dolce e allora perché non provarlo con un vino dolce?
Più terra terra, ad un po’ di ristoranti dove viene proposto l’hamburger di qualità non si potrebbe consigliare l’abbinamento con un vinsanto? Oppure alla tanta e variegata cucina fusion o alle tante proposte “stellate” che spesso uniscono gusti e sensazioni diverse e opposte, non si potrebbe avvicinare un Vin Santo?
“Però se parti da un Vin Santo, dopo cosa bevi?” Potrebbe essere la prima opposizione. Certo, se uno ingurgita tre-piatti-tre nell’arco di 10 minuti non si può bere altro, ma se uno pranza in tempi normali, dopo 10 minuti la bocca è pronta per un bianco o un rosso o una bollicina.
Inoltre bisogna smetterla, se si vuole ampliare le possibilità per questi vini, di vederli come abbinamenti canonici. Violante Gardini, la figlia di Donatella, mi ha detto che il loro Vin Santo negli Stati Uniti viene servito e bevuto a 5°, praticamente alla stessa temperatura di un vino spumante.
Mercati diversi hanno regole diverse, dove un vino dolce potrebbe veramente sfondare, inoltre tanti piatti amati dai giovani (il famoso Big Mac, tanto per fare un nome) sarebbero abbinamento perfetto per tanti Vin Santo.
Ma noi continuiamo a parlare di vino da meditazione (e in effetti in questo mondo ci sarebbe tanto su cui meditare…) o di abbinamenti rari, costosi, o difficili da reperire.
Il Barolo, fino a cinquant’anni fa, era un vino che non si beveva perché era “da grande occasione” o “da lungo invecchiamento”. Se i barolisti fossero rimasti fermi su queste posizioni oggi la Langa sarebbe molto diversa.
Va bene! Ammetto che molte delle mie proposte sono provocazioni, ma volte a far capire che il futuro del Vin Santo e dei vini passiti italiani è legato più alla cultura gastronomica di paesi lontani che non alla nostra, che la sua possibilità di sviluppo sta nel passare il guado mentale che ci separa dal parlare per abbinamenti “artusiani” e di vedere anche nel fast food e in generale nei cibi che tante giovani generazioni preferiscono un logico mercato, che attende solo il primo che varcherà queste Colonne d’Ercole.
Insomma, cari produttori , alzate la testa, guardate oltre la vostra comfort zone e seguite il consiglio di Verdone, quel “famolo strano” che adesso sembra impossibile, ma potrebbe essere veramente l’uovo di Colombo.
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