di ANDREA PETRINI
Il Vinco: tre amici dell’Alta Tuscia Viterbese e il Mistione, un rosato naturale biodinamico fatto mescolando tante uve locali. Segni particolari: irresistibile.

 

Non c’è  dubbio che, col basso frusinate, l’Alta Tuscia viterbese (delimitata a sud dalla provincia di Roma, ad est dall’Umbria, a ovest dal Mar Tirreno ed a nord dalla Toscana) sia l’area vitivinicola più dinamica e per certi versi anche più anarchica del Lazio.

Qui, da qualche anno, tanti giovani vignaioli stanno cercando di dar vita a vini (spesso “naturali”) vogliono rompere con un passato e purtroppo con un presente costellato da denominazioni, la più importante delle quali è l’Est!Est!!Est!!! di Montefiascone, che poco hanno valorizzato, tranne rare eccezioni, la viticoltura del territorio. Un territorio che potrebbe invece condurre a un’alta qualità tutto il comparto vitivinicolo locale.

Il centro nevralgico di questa “nouvelle vague” del vino della Tuscia è il Lago di Bolsena che, con i suoi 114 Kmq , rappresenta il più grande lago vulcanico d’Europa (è considerato una caldera). In questa zona la viticoltura storicamente si è sviluppata attorno alle colline dei comuni più importanti: Montefiascone, Marta, Capodimonte, Gradoli, San Lorenzo Nuovo e Bolsena.

L’areale, come facile pensare, è costituito da terreni di origine vulcanica, ricchi di potassio ma al loro interno con importanti differenziazioni: nell’area nord-ovest lave e scorie saldate, mentre la sabbia è in abbondanza nella zona sud-orientale accanto, ovviamente, alle formazioni di tufo. Le vigne, qui, sono esposte a sud-sudovest e possono avere altezze variabili fino ad oltre 600 metri s.l.m., con scorci sul lago e le sue due isole (Bisentina e Martana) che lasciano senza fiato.

I principali vitigni a bacca bianca sono Procanico, Grechetto, Malvasia, Moscato e Verdello, mentre a bacca rossa troviamo Canaiolo, Aleatico, Ciliegiolo, Roscetto e Greghetto rosso (un clone locale del Sangiovese).

Come detto, l’Alta Tuscia Viterbese oggi è una vera e propria fucina di giovani produttori che stanno sperimentando nuove vie e sviluppando, è opportuno sottolinearlo, il grande lavoro iniziato da Gianmarco Antonuzi (Le Coste) a partire dal 2004: slegare vigna e cantina dai protocolli convenzionali poco rispettosi della natura. Questo movimento ha avuto nel tempo altri punti fermi, come Andrea Occhipinti, ed èp oggi arrivata a contare una mezza dozzina di cantine di riferimento, tra le quali Il Vinco.

Questa, situata nella parte sud del Lago di Bolsena (Montefiascone), è frutto di un progetto fortemente voluto da tre amici – Daniele ManoniNicola Brenciaglia e Marco Fucini – che attorno al 2014 decisero di diventare anche soci.

Eravamo alticci, euforici, ma non pazzi – sottolinea Nicola mentre giriamo per le vigne – perché tutti e tre, oltre ad essere grandi appassionati di vino, proveniamo da ambiti agricoli che conoscevamo bene. Io e Daniele eravamo anche produttori di olio mentre Marco allevava vacche da carne. Qui in zona, poi, ogni famiglia ha tradizionalmente un pezzetto di vigna per fare il vino di casa, per cui qualche rudimento enologico già lo avevamo. E allora ci siamo detti: perché non iniziare?”

E così hanno cominciato a prendere in affitto piccole parcelle di vigneto dagli anziani del posto. Le vigne in produzione, gestite dal 2017 in biodinamico, sono coltivate solo con uve locali (Canaiolo nero, Rossetto, Procanico, Malvasia bianca lunga) e si trovano tra Capodimonte (la parcella più grande di circa 1.2 ettari) e Montefiascone, da dove si produce il bianco, mentre una vigna più piccola, di Canaiolo nero a piede franco, si trova a Marta. In totale circa tre ettari, a cui si devono aggiungere altri tre ettari e mezzo di nuovi impianti (tutti attorno la cantina) anche piante di Verdello, un clone locale di Verdicchio.

Mentre scrivo mi trovo all’interno della nuova cantina de Il Vinco, a due passi da Montefiascone, dove i ragazzi stanno vinificando in autonomia, non senza difficoltà, dopo essere stati ospitati per i primi anni da Andrea Occhipinti. All’interno, vasche di cemento per la fermentazione a scalare dei vini e sia tini in vetroresina (i loro preferiti) e acciaio inox usati per l’affinamento. Per ora niente legno anche se per l’annata 2020, è in programma di l’acquisto di una botte grande per affinare il Greghetto rosso.

Dopo vari assaggi da vasca, tutti sorprendenti per identità e territorialità, chiedo di degustare il loro rosato, il Mistione, che sta spopolando, soprattutto in queste giornate estive, tra gli amanti dei vini naturali. Il vino non altro che un blend (da qua il nome) di uve bianche e rosse di Canaiolo nero, Procanico, Rossetto e Malvasia bianca lunga che dopo due giorni di macerazione divengono fermentate spontaneamente in cemento per poi fatte affinare, creata la cuvée, prima in acciaio e vetroresina per circa sei mesi e poi altri tre in bottiglia. Degustandolo, capisco perché questo rosato sta facendo tanto parlare di sé: è assolutamente originale, parte leggermente abboccato ma poi la forte componente sapida del vino, tipica della zona vulcanica dove sono piantate le viti, tende subito a controbilanciare la beva che, in perfetto equilibrio, scorre lenta ma inesorabile su quel filo sottile che si chiama emozione gustativa e crea voglia di riempire un altro calice.

Amici, siamo ovviamente di fronte ad un vino pop, sicuramente non è il miglior rosato bevuto nella mia vita ma, vivaddio, nel bicchiere finalmente ho qualcosa di assolutamente inedito per un’Alta Tuscia spesso troppo avvezza a vini tecnici e sempre uguali a se stessi.

Ultima curiosità: il nome Vinco è il salice da vimini (Salix viminalis) dal quale un tempo si ricavavano le corde per legare i le viti o le piante dell’orto. Qui, speigano, sta a indicare il forte legame tra terra e progetto e anche il forte rapporto di amicizia tra Daniele, Nicola e Marco.

 

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