di ROBERTO GIULIANI.
Si va in Langa per la degustazione verticale di un cru che ha lasciato il nostro Roberto letteralmente orizzontale: steso, insomma. Ma di piacere…
Dopo aver dedicato numerosi appuntamenti “garantiti” a chef e ristoranti più e meno noti, ho sentito la necessità di tornare a raccontarvi di personaggi del mondo del vino.
La ragione principale è che si tratta di due fratelli, Valerio e Remo, ma direi tutta la dinastia dei Mossio che hanno dato lustro per generazioni ai Dolcetto di Langa, producendo con passione vini superbi, figli di un vitigno che pochi hanno ancora compreso pienamente.
Avevo conosciuto Valerio sette anni fa, durante la manifestazione Dolcetto & Dolcetto, ma da quell’occasione non l’ho più visto né mi è capitato di degustare negli anni a seguire altre annate dei due Dolcetto d’Alba Bricco Caramelli e Passo delli Perdoni (fanno anche Barbera d’Alba e un notevole Langhe Nebbiolo). Volevo colmare questa lacuna e, finalmente, quest’anno sono riuscito ad andarli a trovare nella loro azienda di Rodello, con l’inaspettata sorpresa di una stupenda verticale proprio del Dolcetto d’Alba Bricco Caramelli, dal 2010 indietro fino al 2005, sei annate per capire qualità e potenzialità di questo storico vitigno piemontese.
E ne è valsa decisamente la pena!
La prima cosa che ti colpisce quando entri in azienda è proprio il bricco “Caramelli”, il punto più alto, quasi 500 metri s.l.m., sempre ben ventilato, dal quale si vede un panorama mozzafiato che si estende fino ad Alba. I filari sono ordinati, i sostegni tutti in legno, le piante allevate a guyot su un terreno composto di limo, sabbia e argilla; siamo nella seconda metà di maggio e si nota l’apparato fogliare rigoglioso che man mano si abbarbica ai sostegni appositamente collocati. C’è un bel manto erboso, per i Mossio è d’obbligo la lavorazione eco-compatibile, gli ettari vitati di proprietà sono 10 (28 giornate piemontesi) da cui ricavano circa 50.000 bottiglie annue.
Basta chiacchierare un po’ insieme e passeggiare fra i filari per rendersi conto della passione che li anima, e anche di una certa incoscienza, visto che Valerio, pur in giovane età, ha subito un brutto infarto e continua a spaccarsi la schiena in vigna e in cantina. Per i più curiosi “Caramelli” è il cognome di famiglia dei marchesi di Clavesana, che ricevettero in testamento nel 1676 dalla contessa Clemenza i suoi possedimenti in Rodello, fra cui questa cascina oggi restaurata.
Come dicevo prima l’incontro mi ha dato anche l’opportunità di verificare le capacità evolutive del Bricco Caramelli, effettuando una bella verticale delle annate dal 2010 fino al 2005 (solo perché le annate precedenti erano esaurite…). Ebbene, l’impressione generale è stata di un vino capace di percorrere con fierezza un lungo cammino, con le dovute differenze legate all’andamento climatico che distingue ogni vendemmia, ma la classe di questo cru è indiscutibile e lo colloca fra i migliori Dolcetto in assoluto, un punto di riferimento. Attenzione a non sottovalutare anche il Piano delli Perdoni, che a seconda delle annate può estrarre dal cilindro una qualità che non ha nulla da invidiare al Caramelli.
Ma scendiamo nel dettaglio.
Dolcetto d’Alba Bricco Caramelli 2010 – la filosofia produttiva prevede vinificazione in acciaio per dieci giorni con macerazione sulle bucce, niente legno, nessuna filtrazione né stabilizzazione, per restituire nel calice tutta la carica aromatica del dolcetto. Ultimo nato, questo millesimo rivela un colore rubino violaceo impenetrabile, naso di grande freschezza e dall’impatto intenso di viola, prugna, ciliegia nera, mora, accenti balsamici e speziatura in formazione; in bocca regala la stessa freschezza, una materia ricca e saporita, potremmo dire masticabile, già si intuisce il futuro e felice connubio fra struttura ed eleganza.
2009 – sempre rubino cupo e quasi impenetrabile, qui si possono già apprezzare note più complesse, c’è sempre la viola, poi arriva l’onda fruttata di ribes, mirtillo, mora, lampone, ancora riflessi balsamici e una punta di tabacco. Se al naso rilevavo un’apertura meno immediata rispetto al 2010, al gusto è un tripudio di energia e finezza, forza ed eleganza, sapidità, perfetta simmetria con le note olfattive, persistenza davvero lodevole.
2008 – annata dai tratti leggermente diversi, al colore ancora perfettamente rubino e concentrato, fa seguito un’iniziale approccio vegetale, che lascia poi il passo a viola, iris, ciliegia, mirtillo, mora, interessanti sfumature di zenzero, cannella con una piacevole chiusura mentolata. L’impatto al gusto è più che convincente, si distingue una leggera presa tannica, ottima materia fruttata e un finale delicatamente ammandorlato.
2007 – annata calda ma a questa altitudine e con piante che hanno sulle spalle qualche decennio non è un problema; al naso rivela una dolcezza e un’intensità notevoli, questo anche perché l’alcol si è perfettamente fuso alla trama fruttata che ci riporta nuovamente a prugna, ciliegia e un pizzico di lampone, note resinose, balsamiche, sfumature pepate e fiori essiccati. Bocca armoniosa, ancora una volta balsamica e tuttora fresca, sapida, di lunga persistenza.
2006 – in questo millesimo, ancora dal colore nitido e fitto, colpisce la netta sfumatura di viola, i sei anni dalla vendemmia non ne hanno minimamente offuscato la traccia. Il frutto stupisce per la sensazione di freschezza che emana, tanto da avere riverberi di pesca, per poi ridistendersi sulle più classiche ciliegie, prugne, lamponi maturi; non mancano anche qui le venature balsamiche e si comincia a sentire un terziario importante nei riflessi di grafite e tabacco scuro. Il sorso rivela una trama importante, in perfetto equilibrio, con un tannino setoso ma significativo e utilissimo per ricordarci che il vino non ha affatto terminato il suo percorso evolutivo, grande persistenza.
2005 – forse l’annata più emblematica, in senso positivo, in grado di farci comprendere la grandezza di questo cru, nonostante i sette anni di vita è un tripudio floreale, a cui fa da contraltare un frutto giustamente dolce e maturo ma per nulla marmellatoso. L’annata marca anche l’assaggio, mostrando un tessuto più nervoso e leggero che, lo confesso, a me non dispiace affatto, l’ho già apprezzato in molti Barolo e Barbaresco di quel millesimo.
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