di ANDREA PETRINI
Non sono però stelle del cinema, ma i “Diversi Vignaioli Irpini”. Diversi perchè sono 8, producono meno di 100mila bottiglie e solo di Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi
Mi ricordo come fosse ieri quando, dalla pagine del wine blog di Luciano (qui), lessi la notizia della costituzione dell’associazione denominata “Diversi Vignaioli Irpini” (DiVi). Era il 9 marzo del 2011 e, a quel tempo, l’atto costitutivo fu firmato da ben 11 cantine la cui formazione, nel corso di questi sei anni, si è leggermente modificata prevedendo attualmente la presenza di 8 cantine del territorio: Antico Castello, Bambinuto, Contrade di Taurasi, Guastaferro, Luigi Tecce, Le Ormere, Villa Diamante, Tenuta Sarno 1860. Oggi, così come ieri, l’obiettivo dei DiVi è rimasto lo stesso: promuovere il vino di qualità del territorio cercando di fare “massa critica” al fine di garantire a questi piccoli vignaioli un maggiore potere contrattuale nei confronti di fornitori, banche e partner cercando, al tempo stesso, di sviluppare o ampliare nuovi canali commerciali. Francesco Romano (Antico Castello), da poco succeduto a Maura Sarno (Tenuta Sarno 1860) nella carica di presidente DiVi, durante l’incontro che si è tenuto a Roma presso l’Hotel Columbus, ha tenuto a ribadire che per entrare a far parte dell’associazione ci sono regole molte restrittive ovvero una produzione aziendale che non superi le 100.000 bottiglie e, soprattutto, l’alta qualità dei vini prodotti (Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi) che, grazie ai loro differenti territori di elezione, presentano caratteri unici e “diversi” fra di loro.
Oltre a parlare di territorio irpino, ovviamente, si sono degustati alcuni dei vini prodotti dai DiVi e, grazie alla professionale guida di Monica Coluccia, abbiamo avuto modo di apprezzare:
Fiano di Avellino 2015 – Tenuta Sarno 1860: nel 2002 Maura Sarno ha deciso di piantare fiano in località Candida (AV) che, fino ad allora, non era mai stata riconosciuta come un areale “apprezzabile” per produrre un grande Fiano di Avellino. Quindici anni dopo, senza dubbio, possiamo dire che Maura ha vinto la sua scommessa e questo Fiano di Avellino 2015, proveniente da un appezzamento di 3 ettari situato a circa 500 metri s.l.m., può rappresentare benissimo il suo alter ego: caparbio, tenace e dotato di ottima forza aromatica il cui DNA si apprezza soprattutto al gusto dove il timbro salino tende a donare equilibrio ad una dolcezza di frutto solo inizialmente marcata.
Fiano di Avellino “Vigna della Congregazione” 2015 – Villa Diamante: non c’è più il caro Antoine ma Diamante, sua moglie, si è rimboccata le maniche e con grande sforzo sta portando avanti l’eredità di suo marito che tanto ha dato sia all’Associazione che al territorio irpino. Questo Fiano di Avellino è splendido, esprime purezza e luce, verticalità e mineralità. Al sorso conferma il suo impatto acido/sapido che prende la forma dell’agrume e del salgemma. Molti in sala lo hanno paragonato ad un grande bianco francese ma, per me, è un solo un grande vini irpino a cui i francesi dovrebbero inchinarsi. Punto!
Greco di Tufo 2015 – Le Ormere: l’ultima azienda ad essere entrata nei DiVi è in mano a Carmine Iannaccone e Fiore Cecere che in località Santa Paolina (AV) producono un solo vino ovvero questo Greco di Tufo dagli inconfondibili aromi di mela renetta, pera, noce e sambuco. Vitale ed appagante al gusto dove si delinea un centrato bilanciamento tra morbidezze e durezze tra le quali possiamo apprezzare un sottilissimo tannino che pulisce il palato donando progressione e voglia di bere.
Greco di Tufo 2014 – Bambinuto: ero andato a trovare Marilena Aufiero nel 2013 (vedi qui) e già a quel tempo la “tosta”, così come viene definita per il suo carattere, mi aveva fatto una grandissima impressione per la cura che dedicava ai suoi vigneti e, di conseguenza, ai suoi vini. Oggi, dopo quasi quattro anni, ho ritrovato una vignaiola ancora più brava e convinta del suo ruolo e questo Greco di Tufo 2014 è l’esempio lampante di come si può lavorare bene nonostante l’annata piovosa. E’ un vino arioso dotato di due grandi ali bianche che, nonostante tutte le avversità del millesimo, riescono comunque a sostenere e a far emergere tutti i caratteri del greco i quali vengono solamente imbrigliati dentro un soffio di leggerezza in più. Un piccolo grande capolavoro.
Taurasi 2012 – Antico Castello: a San Mango sul Calore i fratelli Chiara e Francesco Romano portano avanti con modernità e slancio la propria azienda di famiglia dando vita a cinque linee di vini (Falanghina, Aglianico, Greco, Fiano e Taurasi DOCG) e producendo circa 10.000 bottiglie l’anno. Questo Taurasi, figlio di un vigneto di aglianico di circa 10 ha piantato nel 2000, si caratterizza fin da subito per la sua esuberanza fruttata e per un sorso succoso e ghiotto dove bevibilità ed equilibrio vanno a braccetto regalando un finale dinamico e ricco di spezie.
Taurasi “Poliphemo”2012 – Luigi Tecce: quando un contadino alfa dominante riesce a produrre un aglianico che prende le sembianze di una donna alfa dominante le possibili alternative sono due: scontro totale o totale attrazione. In questo caso Tecce, grazie anche ad una annata poco calda, è riuscito a tirar fuori un Taurasi di Paternopoli buonissimo e talmente tanto godurioso che, simbolicamente, ci faresti l’amore per ore. W gli alchimisti della Terra, W Tecce!
Taurasi “Coste” 2011 – Cantine Lonardo: ho conosciuto Sandro Lonardo tanto tempo fa ad un Vinitaly quando un po’ tutti noi blogger eravamo “impazziti” per il Grecomusc’ le cui fantasmagoriche recensioni erano, ormai sei anni fa, all’ordine del giorno all’interno dei vari wine blog nazionali. Cantine Lonardo, però, è anche e soprattutto Taurasi le cui sperimentazioni in azienda vanno avanti da molto tempo tanto che la prima vinificazione dei Cru “Le Coste” e “Vigna d’Alto” risalgono rispettivamente al 2007 e al 2008. Questo aglianico in purezza, proveniente da un appezzamento argilloso-calcareo di 4 ettari in zona Taurasi, offre un variegato olfatto dotato di freschezza balsamica, spezie nere, bacche di ginepro, prugna matura e sbuffi vegetali. Al sorso è subito contratto, la componente acido-tannica si percepisce immediatamente ma, pian piano, si distende e col tempo rilascia al palato tutto l’imprinting fruttato e speziato di cui è dotato il vino che chiude lungo e sapido.
Taurasi “Primus” Riserva 2007 – Guastaferro: da vigne di aglianico prefillosseriche (età media 150 anni) piantate su terreno vulcanico (le ceneri del Vesuvio sono arrivate anche qua) sito in località Piano d’Angelo, nasce questo vino la cui descrizione olfattiva mi riporta in mente quanto già letto su “Vini da Scoprire” ovvero ha un quadro aromatico all’interno del quale possiamo ritrovare ogni tipologia di frutta rossa, spezie e legni che il buon Dio ci ha donato. Tutte eh, non ne manca una. Il sorso, facile pensare, è di importante spessore, ricco e dotato di fittissimi e dolci tannini. Finale esuberante e grintoso, con persistenza tesa e senza strappi che non lascia il palato per lunghi minuti.
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