di LUCIANO PIGNATARO
Per il primo IGP dell’anno Big Luciano parte, come dice lui stesso, da buon napoletano: cioè col botto. E sciorina una “guida ragionata” ad uno dei più caratteristici rossi campani. Che, oltretutto, sta tornando di moda.

Tornano di moda i rossi leggeri, non perché siano più facili come si pensava negli anni ’80, ma per la loro capacità di stare al passo dell’alleggerimento complessivo della cucina italiana in atto ormai da un paio di decenni e poi perché si sono eccessivamente caricati i vini strutturati, puntando spesso su alcol e concentrazioni poco adatte al palato quotidiano delle abitudini latine.
La storia del Piedirosso, detto anche Per ‘e palummo per via del graspo a zampetta di piccione, è davvero singolare: nel giro di pochi anni è passato dall’essere il simbolo di vino da dimenticare, acetoso al naso e tenuto in piedi solo dall’acidità, a nuovo modello di rosso da inseguire e c’è perfino chi lo paragona al pinot nero in alcune sue espressioni più riuscite.
Lasciando da parte i termini di confronto tra uve, li detesto da sempre, sicuramente la moderna tecnologia in cantina e le conoscenze agronomiche hanno migliorato di molto questo antico vitigno dell’area napoletana, ben acclimatato sui suoli vulcanici sciolti, croce per tutti i contadini a causa della sua difficoltà nell’invaiatura e poco prolifico. Grazie al lavoro di riscoperta fatto da Grotta del Sole all’inizio degli anni ’90, a cui è seguita la perizia di alcuni grandi artigiani, oggi abbiamo rossi molto più leggeri dell’Aglianico (in passato il blend tipico campano era proprio l’unione tra due vini, utilizzato ancora nel Lacryma Christi del Vesuvio), dai tannini appena accenati, sottili ed eleganti.
Il Piedirosso è complicato in vigna come in cantina, si è sempre al limite tra l’odore cattivo e le sensazioni olfattive accativanti di geranio e frutta rossa. Richiede attenzione e molta competenza.
Grazie alla sua modernità di beva e al prezzo sempre molto abbordabile, difficilmente supera i dieci euro, nella maggior parte dei casi esce sotto i cinque, il Piedirosso sta passando dall’essere un vino di gusto popolare a bicchiere capace di tener desta l’attenzione anche di chi degusta per professione. La delicatezza dei tannini consente di lavorarlo agevolmente solo in acciaio, come succede del 99% dei casi e di abbinarlo con faciltà anche alla cucina di mare, o di usarlo d’estate perché può essere rinfrescato anche sino a 14 gradi come un bianco strutturati. Non ha dolcezze da esprimere, è molto secco e salato.
Vediamo quelli che ci piace segnalare.
Il benchmark è sicuramente da cercare nel Piedirosso 2011 Campi Flegrei doc di Grotta del Sole, base di riferimento per la denominazione in alcune decine di migliaia di bottiglie. Sempre un buon affare per il consumatore. In enoteca a 6 euro.
Nell’area dei Campi Flegrei sono due gli artigiani di questo vitigno. Il primo è Peppino Fortunato di Contrada Salandra a Pozzuoli, ora in commercio c’è il Piedirosso 2010 Campi Flegrei doc, meno di 7.000 bottiglie, una grande capacità di mettere in evidenza il frutto, sapido, secco, salato, lungo e snello. In enoteca a 9 euro.
L’altro grande artigiano si chiama Raffaele Moccia, la sua azienda Agnanum è ad Agnano, dentro il comune di Napoli. Gioca molto sulla estrema finezza, il suo Piedirosso 2011, appena duemila bottiglie, lo si trova sui 12 euro in enoteca ed è una compiuta espressione del suolo vulcanico flegreo.
Proprio vicino Raffaele c’è Cantina degli Astroni, quasi un secolo di tradizione familiare, che propone il Colle Rotondella Piedirosso 2001 Campi Flegrei doc. L’azienda, rilanciata da Gerardo Vernazzaro, studi di Enologia a Udine, è quella che ha la maggiore disponibilità di ettari propri coltivati a piedirosso. Sui 10 euro in enoteca.
Per chiudere con lo splendido areale dei Campi Flegrei, cuore della romana Campania felix grazie al porto di Pozzuoli, citiamo il buonissimo Piedirosso 2001 de La Sibilla, opera del giovane enologo di famiglia, Vincenzo Di Meo. Un vino ancora più immediato, se possibile. Sugli 11 euro in enoteca.
Il Piedirosso è un rosso di costa, non disdegna il clima caldo purché sia temperato dalla brezza marina. Un altro esempio storico è il Per ‘e Palummo di Casa D’Ambra a Ischia, sui 10 euro. Lo stile è sempre lo stesso: sapido e minerale.
Troverete il piedirosso nel Lacryma Christi o nel Gragnano, ma qui ci limitiamo a coloro che credono in questa uva sino al punto di vinificarla in purezza. Molto buono, qui siamo a Tramonti, in Costiera Amalfitana, il Piedirosso 2011 Colli di Salerno igt di Apicella, prima azienda ad imbottigliare nell’areale. Fresco e snello, 8 euro in enoteca.
Il Piedirosso si è diffuso molto anche nel Sannio. Due quelli di spicco nell’annata 2011, Fontanavecchia e Fattoria La Rivolta rispettivamente di Libero Rillo e Paolo Cotroneo, i gemelli del gol del Taburno. Il primo, realizzato da Angelo Pizzi, è fresco, minerale, di buon corpo, dissetante. Un sannio Piedirosso doc in 13mila bottiglie a 8 euro in enoteca.
Il secondo, fatto da Vincenzo Mercurio, è un po’ più morbido, ma dopo questo primo impatto rivela una grande verve e piacevole bevibilità. Altro Sannio doc, 8mila bottiglie a 10 euro.
Il nostro viaggio nel Piedirosso termina nell’alto Casertano, dove troviamo due campioncini meravigliosi. Il Sabus 2011, godibile, fresco, buon frutto rosso al naso che si ritrova al palato. Sui 10 euro. Lo produce l’azienda Tenuta Adolfo Spada a Galluccio, alle falde del vulcano spento di Roccamonfina.
Stesso areale, più spostato verso Caianello il Basco Piedirosso 2010 (4mila bottiglie) prodotto da I Cacciagalli, di cui ho la quasi certezza che sia ormai finito. Un perfetto esempio di come interpretare questo vitigno. Sui 10 euro.
Il Piedirosso lo berrete sulle paste al pomodoro, le parmigiane di melanzane, la zuppa di pesce, le carni bianche al forno con patate. Userete anche i bicchieri di carta, se vi va, perché è vino che esprime il carattere estroverso delle genti campane della costa: si apre facilmente per vivere l’attimo. Chè del doman non v’è certezza.

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