di STEFANO TESI
Capita che i fili del destino e il groviglio delle tue idiosincrasie ti portino dove mai avresti pensato: ad esempio a tornare nei luoghi della tua adolescenza per godere senza pregiudizi di una cucina trendy ove però la sostanza, alla fine e per fortuna, la fa da padrona.

 

La mia scarsa inclinazione verso le cose modaiole è arcinota, figuriamoci quella verso le cose di tendenza e il lessico che, ad esempio in materia di cibo e ristoranti, a ciò si accoda.
Altrettanto nota la mia attrazione, invece, verso i giochi del destino e l’intreccio di quei fili invisibili che, a distanza di anni o di decenni, come un elastico ti riportano in certi luoghi davanti ai quali sei passato mille volte e dove, per mille ragioni, mai però avresti pensato di entrare.
Il mio personale approccio a FOOO (acronimo di Florence Out Of Ordinary, il ristorante gourmet di The Student Hotel di Firenze da poco aperto nei luoghi della mia adolescenza e gioventù, casa e case degli amici incluse, zona Fortezza da Basso) era sospeso tra le due premesse: un guscio familiarissimo attorno a un oscuro contenuto trendy, un cuoco di indole rassicurantemente sobria come Fabio Barbaglini, di recente però premiato a Parigi per la sua “cucina naturale”, nonchè insignito in quella sede della qualifica di “nature”. Cosa poteva esserci di più glamour di questo?
Indeciso tra curiosità e diffidenza, alla fine mi ci sono avvicinato senza pregiudizi. E, lo dico subito, ne è valsa la pena.
Atmosfera e architettura internazionali senza eccessi, servizio puntuale senza fiato sul collo, sedute comode, apparecchiatura gradevole, niente frastuoni né musicacce spaccatimpani (il sound dell’ambiente viene da una web radio che, garantiscono, trasmette ogni giorno nei luoghi di FOOO una selezione musicale che richiama lo stile delle principali web radio underground europee: non so se è vero, ma comunque non disturba).
Per andare al sodo, la scelta gastronomica che ho fatto è stata la più rischiosa, in tutti i sensi: il “percorso” (termine ahinoi già modaiolo) scelto dallo chef. Rischioso per me, che evitando di scegliere mi affidavo a lui. Rischioso per lui, che accollandosi la responsabilità di scegliere si addossava anche quella di eventuali esiti infelici.
Unica anticipazione: mi avrebbero servito un mix tra i piatti classici di Barbaglini e le nuove creazioni pensate apposta per il Fooo, tutte comunque assemblate (come dice anche il comunicato stampa) in “una proposta il più possibile naturale, ovvero non unicamente improntata a una materia prima di alta qualità e di filiera corta, ma anche lavorata con meno grassi e meno sale, nonché con processi di trasformazione che non ne intaccano le caratteristiche gustative e nutritive”.
Bene: ne ho preso atto, poi ho cancellato tutto dalla testa e mi sono buttato sui piatti con puro spirito critico-edonistico.
Non ne sono uscito deluso, anzi tutt’altro.
Buoni la rapa candita al Campari con purea di coregone e il piedino di limone confit con melone bianco, più che buona per vivacità e delicatezza la nuova ostrica in brodetto alle spezie e peperoncino, mela e alkekengi.
Il primo degli oscar della serata va però a un classico del cuoco novarese, la coda di scampi e noce di capesante in succo di sedano all’assenzio con purea di cipollotti e zenzero, una portata riuscitissima che, al di là del nome un po’ barocco, spicca invece per la delicata e leggera complessità. Non da meno, e altro oscar, al nuovissimo riso al cavolo nero, polvere di alghe, agrumi e crostacei, piatto davvero godibile e di grande appagamento, giocato su consistenze e sfumature gustative.
Bene la sogliola allo champagne con lardo arrostito e carciofi glassati, bene pure i ravioli di anguilla affumicata in brodo di baccalà. Buono infine il piccione e capperi in insalata di cipolle, ma un gradino decisamente sopra si colloca il rinfrescante dessert a base di finocchi canditi con gelato alle pere, una vera goduria.
Insomma una cena originale e decisamente diversa dal solito, senza risultare, per fortuna, stucchevolmente “esperienziale” né troppo obbligata dai paletti di un percorso che, in altri frangenti, si trasformano in una gabbia. Parola d’ordine: leggerezza e fragranza. In tutti i sensi, ma senza cadute nell’insipido e nel prevedibile.
E la carta dei vini? Non è amplissima ma ben variegata e non banale, con ricarichi corretti e un’estensione tanto geografica quanto tipologica che copre tutto il paese, con qualche bella escursione in Francia per bollicine e non solo.
Quanto al prezzo, che poi conta, vini esclusi alla carta si spendono sui sessanta euro, con possibilità di scegliere però anche menu da due, tre e quattro portate.

Commento finale: è bene mettere alla prova i propri limiti e, ogni tanto, ricredersi.

 

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