di LUCIANO PIGNATARO
Si chiama Sabbie di Sopra il Bosco 2013. Uva: pallagrello nero, casavecchia, aglianico. Prezzo: sui 18 euro franco cantina. Fermentazione e maturazione: legno. Segni particolari: promettente.
I vini-evento non esistono più. Molti tirano un sospiro di sollievo, io sento la mancanza di quelli che avevano poi la capacità di accendere i riflettori su un territorio, se non su una regione intera come accadde con il Montevetrano e la Campania nel 1995.
I motivi di questa rarefazione mediatica sono molteplici, spaziano dalla crisi a quello, molto banale che è più facile avere grandi novità in una viticultura giovane, come era quella italiana nell’immediato post metanolo, che in una ormai comunque consolidata da 25 vendemmie.
Ci sono poi anche elementi soggettivi, come il fatto che negli anni ’90 era più facile costruire l’immagine dei vini rispetto ad oggi in cui sono sottoposti al tiro incrociato dei cecchini del 2.0. In fondo negli anni ’90 bastava prendere i Tre Bicchieri e il gioco era fatto.
Ecco perché Sabbie di Sopra il Bosco, questo è il nome complicato scelto da Giovanni Ascione per il suo rosso per il quale avrebbe potuto scegliere tout court quello dell’azienda, Nanni Copè, merita una menzione speciale.
Nasce da una vigna nell’area del Pallagrello, siamo nel Caiatino in provincia di Caserta, le cui piante sono tutte segnate con precisione da Csi e vendemmiate a singhiozzo nell’arco anche di una trentina di giorni. La collina, sabbiosa e limosa oltre che vulcanica è continuamente battuta dal vento.
Giovanni Ascione è riuscito a fare un rosso di tradizione senza tradizione che dal 2008 raccoglie consensi unanimi della critica oltre che del pubblico. Un blend di territorio di Pallagrello, Aglianico e Casavecchia davvero ben gestito con il legno, che rimette al centro dell’attenzione il vigneto da cui nasce piuttosto che il vitigno. Una rotta decisamente controvento in Campania.
Il 2013 si presenta ancora molto, forse troppo, fresco, con un tannino levitato ma ficcante, tanta materia in cerca di equilibrio e bisognosa di ulteriore affinamento in bottiglia. Ma la sostanza c’è ed è davvero molto interessante. Lo proviamo sulla tavola di Taverna del Capitano e facciamo il paragone con il 2010 al quale, secondo Giovanni, somiglia molto.
Ma al di là delle note tecniche, cosa rappresenta oggi questo vino? Secondo noi l’unica possibilità di fare una etichetta artigianale del territorio ritornando al territorio dopo però aver molto viaggiato e tanto studiato.
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