di ROBERTO GIULIANI
Caluso Kin 2020 Tappero Merlo: un’interpretazione indubbiamente non “classica”, ma di notevole appeal, dell’affascinanate vitigno piemontese.

 

L’azienda di Domenico Tappero Merlo si trova a Loranzè, in provincia di Torino, nel cuore di quell’area nota come Canavese dove regna incontrastato l’Erbaluce, un’uva a bacca bianca tra le più affascinanti di tutto il Piemonte.

Ho scelto questo vino perché ha una personalità tutta sua e non passa inosservato. Domenico ha una visione produttiva che vede nell’equilibrio la chiave di lettura più corretta, la terra merita rispetto proprio per tutta la vita che ci dona, senza di essa non esisteremmo. Per questa ragione, laddove le conoscenze e le tecnologie ce lo consentono, si possono fare scelte più attente e rispettose, preferendo ai tanti prodotti chimici che l’industria ci propone, lavorare “con prodotti naturali a base di estratti vegetali di erba medica, alghe brune, barbabietola, aloe vera, yucca, propoli, castagno, olio essenziale di arancio dolce, oltre a specifici batteri, lieviti, microelementi e biostimolanti fogliari, latte vaccino e un ridotto impiego di rame e zolfo”.

In questo contesto, flora e fauna si sviluppano liberamente dando vita a un ecosistema dove l’uomo è osservatore mai invasivo, sebbene ancora qualche compromesso sia inevitabile, ma questa è la strada giusta.

Il Kin nasce da terreni fortemente acidi di origine morenica, composti per l’80% di sabbia, 15% limo e 5% argilla. Sono terreni poverissimi che consentono delle rese decisamente basse, tra i 35 e i 40 quintali per ettaro.

La fermentazione delle uve è spontanea con lieviti indigeni, l’affinamento si svolge in botti di rovere da 20hl per un periodo che può variare dai 18 ai 36 mesi secondo le caratteristiche dell’annata.

La 2020 ha colore paglierino intenso e luminoso, profuma di agrumi, salvia, fiori di campo, una trama speziata che si avvicina alla curcuma e allo zafferano, in un contesto piacevolmente balsamico. Al palato emerge la consueta vivacità e freschezza dell’Erbaluce, in un contesto profondo dove il legno contribuisce a dargli ampiezza espressiva; un’interpretazione indubbiamente non “classica”, ma di notevole appeal.

 

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