di ANDREA PETRINI
Prende il nome non dal film, ma dalla metafora de “La lepre e la tartaruga” di Esopo: è la piccola azienda di due giovani ambiziosi che, invece di scappare dalla campagna, hanno deciso di restare a tenere le fila di vigne polverizzate ed eroiche.
I problemi del vino di Carema, fino a qualche tempo fa, erano sostanzialmente due: l’estrema frammentazione dei vigneti, spesso suddivisi in piccolissime parcelle sparse, e il loro progressivo abbandono visto che, tranne rare eccezioni, le vigne sono gestite dagli anziani del paese, che conferiscono per la maggior parte alla cantina sociale oppure, per eredità, appartengono a famiglie che non hanno alcuna intenzione di continuare a coltivarle.
Se è vero che il primo nodo, che è nel dna di questo territorio, rimane irrisolto, è vero anche che Carema e il suo vino stanno fortunatamente vivendo una sorta di seconda giovinezza, visto che da qualche tempo tanti ragazzi stanno investendo tempo e risorse in questa Doc.
E’ il caso di Vittorio Garda e Martina Ghirardo, nati e cresciuti nel Canavese e nel comune di Carema, che invece di fuggire dai luoghi natii, come tante coppie della loro età, hanno deciso di rimanere fondando nel 2012 l’azienda Sorpasso (nome ispirato non al celebre film, ma alla favola di Esopo “La lepre e la tartaruga“).
Vado a trovarli una mattina di ottobre, durante la locale festa del vino. Appuntamento ad Airale, dove hanno parte dei vigneti ed è unicata la piccola cantina aziendale.
Da qua, con grande fatica, cominciamo ad arrampicarci sui ripidi pendii che portano in cima alla collina (siamo più o meno a 500 metri slm) da dove si domina la vallata sottostante. Solo calpestando queste vigne, incastonate nella roccia, possiamo capire quanta fatica si faccia a gestire le bellissime vigne di Nebbiolo (oltre alle varietà autoctone, come Neretto e Ner d’Ala) che in totale, sparse in tantissime parcelle, si “estendono” per circa un ettaro. I vigneti, per ora quasi tutti in affitto, sono per due terzi allevati a pergola tradizionale e per un terzo a spalliera.
La cantina è stata ultimata nel 2016. Martina, architetto prestato al mondo del vino, spiega che le prime due annate del loro vino, ovvero la 2014 e la 2015, furono vinificate a Montestrutto, fuori dal Carema ma comunque nell’area della Doc Canavese.
La struttura è piccola ma ordinatissima, sembra fatta su misura per lavorare al meglio anche in un pochi metri quadri.
“Tutti i vini che produciamo hanno una base al 100% nativa, dalla quale cerchiamo di estrarre quanto più possibile le caratteristiche del nostro territorio“, esordisce lei illustrando Martina la filosofia aziendale. “Il vino viene fatto fermentare sempre in acciaio attraverso un pied de cuve dove il lievito proviene direttamente dal nostro vigneto. Dopo la fermentazione, rimane sulle bucce per circa tre mesi dopodiché, una volta torchiato, resta per alcuni mesi in acciaio inox, a cui seguono mediamente dodici mesi di affinamento in barrique e tonneau esauste prima di essere infine imbottigliato, senza filtrazioni né chiarifiche, in nemmeno duemila unità“.
Nella testa di Vittorio e Martina c’è anche una futura produzione di un metodo classico e di un bianco a base Riesling e Erbaluce, ma tutto è ancora in divenire.
La degustazione parte con alcuni assaggi dalla botte. “Questo vino proviene proprio dalle vigne di Airale, che nelle nostre intenzioni, anche se ora non ha senso vista la quantità, potrebbe diventare un Cru di Carema”, precisano. Ha ragione, penso: sebbene ancora in affinamento è già espressivo, luminoso, più sul floreale che sul fruttato, e con una bocca così calibrata che già adesso potrebbe incantare più di qualche palato allenato.
Mi viene versato poi il Canavese DOC Nebbiolo “Suflin” 2015 (85% nebbiolo, 15% Neretto e Ner d’Ala), nome che in dialetto locale, significa pignolo, preciso, così come tutto il lavoro dei nostri giovani vignaioli di Carema. Pur essendo solo la loro seconda vinificazione, capisco che Vittorio e Martina hanno già le idee ben chiare su cosa cercano in un vino, ovvero personalità associata a territorialità, e questo Suflin ne è un esempio lampante: fruttato, minerale, fresco, ammalia il palato per ritmo ed intensità sapida.
Il Carema 2016 (85% nebbiolo, 15% Neretto e Ner d’Ala), prima annata vinificata nella nuova cantina, è figlio di un millesimo più equilibrato ed ha un profilo olfattivo dapprima terroso, che si apre svelando una freschissima viola e poi sensazioni di lampone e una leggera speziatura. La mineralità di fondo spiega una longevità che la forza del sorso ribadisce. Finale rigoroso, col tempo che fornirà ancora più sfaccettature al vino.
Vale la pena di seguire Martina e Vittorio: sono giovani, bravi, giustamente ambiziosi e non potranno che migliorare col tempo.
Un po’ come il loro vino.
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