di LUCIANO PIGNATARO
Intervista a Giulio Somma, direttore del Corriere Vinicolo, la storica testata “cartacea” che ha da poco compiuto il giro di boa dei 18 lustri.Del primo sono amico da quando avevamo i calzoni giornalisticamente corti e del secondo collaboratore d’antico pelo.

 

Il Corriere Vinicolo compie 90 anni. Abbiamo pensato di intervistare il direttore Giulio Somma per affrontare a tutto tondo un po’ di argomenti, in particolare il cambiamento in atto nel mondo del vino e il ruolo, se c’è ancora, del cartaceo.

Novant’anni sono molto più di un secolo, forse anche più di due. Mai il mondo è cambiato a questa velocità. Com’era il mondo del vino italiano 90 anni fa?

Profondamente diverso nella struttura economica e imprenditoriale; con un livello qualitativo medio del prodotto ben lontano da quello di oggi, seppur con diverse importanti eccellenze produttive, con numeri di export notevolmente ridotti ed un consumo pro-capite interno triplo rispetto all’attuale. Si potrebbe scrivere un libro per rispondere a questa domanda. Comunque un contesto tutto diverso dall’attuale dove il valore della filiera era nelle mani del commercio che aveva il compito, e la responsabilità, di far conoscere e portare il vino sui mercati interno e internazionale. E questo è uno degli aspetti più interessanti raccontati nel volume storico realizzato per i 90 anni del nostro giornale: i commercianti hanno avuto un ruolo molto importante nel costruire l’immagine del vino italiano nel mondo aiutando il settore a crescere e svilupparsi.

Come affrontò il Corriere la grave crisi del metanolo?

Direi con grande coraggio e onestà intellettuale. Ampio spazio viene dedicato alla denuncia dell’Unione Italiana Vini che si costituisce parte civile contro le aziende coinvolte nello scandalo. Viene pubblicato tutto l’elenco delle imprese incriminate (anche se non tutte verranno alla fine condannate) per mettere in evidenza come all’origine di quei fatti molto gravi, ci fosse, in realtà, uno sparuto gruppi di aziende ai margini del settore. Il giornale non si è mai sottratto al coraggio della verità facendosi strumento politico del settore nella battaglia verso la qualità, le leggi a tutela dell’origine e la nascita del moderno sistema dei controlli. Insomma, il Corriere Vinicolo è stato in prima linea nel lungo lavoro che sta dietro il “rinascimento” del vino italiano. Un brano di storia che ripercorriamo nel nostro volume.

Oggi il mondo del vino italiano è la punta di diamante della nostra agricoltura, praticamente tanti prodotti stanno ripercorrendo la stessa strada: investimento sulla qualità assoluta, packaging e marketing, occhio al futuro. Cosa c’è ancora da fare secondo te?

I fronti su cui si sta la lavorando sono molti e tutti importanti. Volendo, però, identificare tre obiettivi macro potremmo parlare di sostenibilità, caratterizzazione e promozione del “sistema paese”. In vigna, la sostenibilità è ormai una priorità che va oltre gli indirizzi e le scelte produttive; in cantina, una caratterizzazione dei vini legata ai territori – che sia riconoscibile nel bicchiere – è indispensabile per valorizzare le identità dei vini italiani e vincere la sfida competitiva di un mercato diventato globale mentre, sul fronte promozione, le istituzioni pubbliche devono lavorare di più – e meglio – per far conoscere il sistema “vino italiano”. I numeri dell’export, al di là di oscillazioni positive di breve periodo, rallentano: dobbiamo pensare e progettare a medio-lungo termine per garantire un futuro al vino italiano. Ma non sempre si ragione in questa prospettiva.

Parliamo adesso un po’ da comunicatori: il cartaceo ha ancora un senso? E quale?

Continua ad avere un ruolo fondamentale. Se vuoi studiare, approfondire, analizzare, la carta rimane il supporto più utile al lettore. Noi lo vediamo quotidianamente: abbiamo anche la versione digitale del Corriere ma nessuno è disposto a rinunciare al cartaceo. Forse è perché, come settimanale, non inseguiamo l’attualità, che lasciamo ai colleghi dell’on-line, ma proponiamo analisi e approfondimenti che si leggono meglio sulla vecchia, e da me molto amata, carta. Non è banale dire che i due supporti, oggi, convivono bene quando si rimandano lettori l’un con l’altro. Ed è quello che cerchiamo di fare, mi sembra, con un buon successo.

Come si pone il Corriere rispetto ai social e alle nuove forme di comunicazione?

In generale con grande apertura e interesse anche se la comunicazione politica ed economica del nostro settore ancora non viaggia molto sul digitale. Utile e prezioso per la comunicazione di prodotto, per l’informazione al consumatore – come fai molto bene con il tuo blog – il digitale deve ancora trovare uno spazio specifico nell’informazione istituzionale sul vino. Stiamo lavorando ad un progetto che ci porterà a breve sui principali canali social, ma come supporto e integrazione del settimanale cartaceo, la cui formula giornalistica, a distanza di 90 anni, rimane ancora efficace.

Secondo te il mondo del vino italiano è autoreferente rispetto a quello che succede nel mondo?

Sempre meno, anche se vanno fatte valutazioni differenziate a seconda dei soggetti di cui si parla. Le aziende, ormai, che vivono di export, hanno occhi e sensibilità globali avendo superato quel certo provincialismo che per molti decenni si sono portate dietro. Il sistema fieristico, Vinitaly in testa, sta velocemente recuperando un gap di internazionalizzazione che abbiamo più volte segnalato negli anni scorsi. Anche se una maggior apertura al dialogo con le imprese non guasterebbe. Le istituzioni pubbliche e la politica, invece, sono ancora drammaticamente indietro. Al di là delle contingenze di posizioni politiche dell’oggi, ad ascoltare i politici o gli amministratori locali sembra proprio che anche Bruxelles – dove ormai si decide la politica del vino – sia in un altro mondo. Per non parlare dei grandi mercati, dagli USA al far-east: realtà sconosciute, lontane, indecifrabili nonostante rappresentino oltre il 50% del nostro fatturato.

Anche le fiere stanno cambiando. Quest’anno Bordeaux,a detta di molti, ha segnato un po’ il passo. Come valuti l’azione di Vinitaly e cosa vedi in Italia da questo punto di vista?

Le fiere del vino, nonostante la rivoluzione digitale, continuano a svolgere un ruolo importante forse perché questo prodotto, alla fine, per conoscerlo veramente va assaggiato. Ma la capacità di promozione internazionale delle nostre imprese è ormai molto sviluppata e non c’è più bisogno di aspettare lo stand per farsi conoscere sui mercati. E Vinitaly ha colto questo trend evolvendosi da fiera a sistema di promozione globale del vino italiano. Ma anche gli altri competitor fieristici stranieri lo stanno facendo. Per questo, ribadisco, è importante e urgente che Vinitaly si apra di più al dialogo con le imprese del vino. Non avrebbe che da guadagnarne anche nei confronti delle istituzioni. Noi, e Veronafiere lo sa, ci siamo.

Giulio Somma, una vita dedicata al vino con ruolo diversi ma sempre prestigiosi e interpretati con professionalità. Come è cambiato questo mondo da quando hai iniziato ad occupartene? Era più facile prima o adesso? E quali sono le cose che davvero non sopporti di questo mondo?

Il mio battesimo nel vino avviene negli anni del metanolo. Stagione molto difficile. Nella comunicazione del vino eravamo pochissimi; giornali e tv erano insensibili all’argomento, considerato volgare. Oggi il mondo sembra essersi ribaltato ma, come ben dice Aldo Grasso nella sua videointervista realizzata per i 90 anni del Corriere, la situazione del vino in televisione è peggiorata rispetto al secolo scorso. La distanza da Soldati o Veronelli sembra incolmabile. Oggi è forse più facile portare un vino in televisione o sui giornali: ma il racconto si è fatto banale, superficiale, ripetitivo. Ed è questo che non sopporto: l’approssimazione e la superficialità dei media, il dilettantismo di chi si avventura a fare il “comunicatore” del vino senza preparazione, facilitato, a volte, anche da un certo provincialismo dei produttori. Il mondo del vino, e tu lo sai bene, è un mondo serio, articolato, fatto di lavoro ed economia. Ma raramente la comunicazione rende giustizia di questa complessità.

Quali obiettivi hai come direttore del Corriere nei prossimi anni, diciamo almeno sino ai festeggiamenti del primo secolo di vita?

Reinterpretare la mission originaria del giornale, essere “voce della classe”, che oggi significa travalicare gli steccati degli interessi di settore, pensare il vino italiano nel più ampio contesto economico, sociale e culturale del paese, e non solo, con una politica dell’informazione fedele nel racconto, arguta, pungente verso le istituzioni e le rappresentanze politiche, efficace nel fornire strumenti culturali e professionali all’imprenditore e al management dell’impresa. Un giornale di servizio, in forte sviluppo, dove arriveranno nuovi dorsi, rubriche di approfondimento e spazi giornalistici orientati a far crescere i contenuti sui temi della ricerca e della qualità produttiva, del management, dello sviluppo d’impresa e del lavoro. Sempre più piattaforma di contenuti verso una multicanalità dove carta e digital diventano complementari per una informazione che sa proporsi come strumento culturale di crescita del settore.

 

Pubblicato in contemporanea su