di STEFANO TESI
L’Accademia della Crusca pubblica finalmente gli atti del convegno del 2011 su “Il Secolo Artusiano”. Una lettura gastroletteraria godibilissima. E indispensabile per tutti i cultori dell’arte culinaria e della lingua italiana, ambedue ricchissime di “ingredienti”.
Ci sono volumi che, condizionato dall’oggetto trattato o dalla loro provenienza, inizi a sfogliare svogliatamente. E solo dopo un’ora ti accorgi che la lettura ti ha del tutto assorbito, al punto che il tuo si è trasformato in un saltabeccare frenetico da un capitolo all’altro.
Appartiene proprio a questa categoria il sobrissimo tomo dell’Accademia della Crusca (lo si può acquistare on line, al costo di 25 euro, qui) contenente gli atti del convegno del 2011 dedicato al “Secolo Artusiano” in occasione del centenario della morte del celebre gastronomo-scrittore Pellegrino Artusi.
Me lo sono rigirato tra le mani per un po’, nonostante la mia nota artusianità (il pellegrinaggio incombe sempre sui miei pensieri…), convinto che si trattasse di un libro di prestigiosa ma paludata erudizione. Bello da avere in biblioteca, da consultare via via e magari da citare ogni tanto, però un pochino pesante da leggere sul serio.
Mi sbagliavo.
C’è voluto tutto l’impegno delle nostre ferrovie e dei loro cronici ritardi per indurmici, quasi per disperazione.
Dopo, tuttavia, mi si è aperto un mondo.
Perchè pur senza rinunciare in niente, per quasi trecento pagine, alla sua intrinseca accademicità sia di metodo che di linguaggio, il volume offre al lettore, anche non acculturato, un ventaglio di temi interessanti e godibilissimi, rivelandosi una miniera di aneddoti, di notizie, di spunti e di curiosità interdisciplinari per vario uso.
L’eredità – linguistica, letteraria, storica, gastronomica, metodologica, umana – dell’Artusi viene scandagliata, spiegata, entomologizzata, contestualizzata. Fino al punto di risultare pienamente comprensibile anche in tutta la sua spesso insospettabile ampiezza.
In tale senso, già il titolo di alcuni capitoli è di per sè stimolante: “Il sapore di una nazione“, “Il ventennio artusiano: cucina e morale spicciola“, “Medicina e gastrosofia dell’opera di Pellegrino Artusi“, “I sinonimi in cucina: nomi di piatti e di elementi“, “La Firenze di Artusi” e così via.
Ne esce una figura, quella dell’Artusi, che si trova a fungere, per forza e per amore, quasi da involontario crocevia tra la storia d’Italia, l’unificazione della nostra lingua, l’evoluzione del costume e la codificazione dell’arte culinaria italiana. Il tutto tra notazioni colte e spigolature esilaranti, cortesie d’altri tempi e lessici in disuso.
Non manca l’Artusi malizioso e allusivo, non mancano le frecciate ai malcostumi nazionali e forestieri (in cucina come fuori), il gusto della discussione in punta di fioretto e le finestre aperte su un’identità nazionale che, a tavola come sui libri e nelle scuole, andava formandosi.
Grazie dunque a questo eroe autenticamente popolare, sebbene schizzinoso e un po’ snob.
E grazie alla Crusca (il cui intero catalogo delle pubblicazioni può essere consultato qui) per aver messo nero su bianco le parole di un convegno di cui altrimenti assai pochi avrebbero goduto.
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