di LUCIANO PIGNATARO
Facendoci fare un tuffo negli studi classici, Luciano ci parla d’una Falanghina nata per l’invecchiamento: si chiama Lièo, come Dioniso (dal greco λύω, “sciogliere»: scioglie i freni inibitori), e in latino era sinonimo di vino.
Che la Falanghina abbia possibilità di invecchiamento è una di quelle frasi che qualche anno fa il generale del “verso giusto” avrebbe inserito fra gli esempi del “mondo al contrario”. Se ne beveva tanta e con voluttà a pochi mesi dall’imbottigliamento e ancora oggi gran parte della produzione tende ad essere venduta prima che inizi la vendemmia successiva. Ma non sono pochi i produttori che si stanno dedicando al viaggio nel tempo con questo vitigno, al pari di quanto ormai si fa con il Fiano di Avellino e, in misura minore, con il Greco di Tufo. Il suolo vulcanico e le escursioni termiche sono comunque due precondizioni per ottenere vini capaci di affrontare questo tema.
Dopo Fontanavecchia a Torrecuso, ecco allora un’altra azienda, Torre a Oriente di Patrizia Iannella, siamo sempre nello stesso comune alle falde del Taburno in provincia di Benevento, che propone un Falanghina con tempi più lunghi. Per la verità lo fa da tempo con una etichetta, il Biancuzita, nome dialettale della stessa uva: viene infatti proposta a un anno dalla vendemmia. Adesso il salto di qualità, l’occasione per la presentazione è stato un progetto chiamato Triodiversità che ha messo insieme il tridente della nostra cultura gastronomica mediterranea: vino, grano e olio in collaborazione con Masseria Roberti e la Cantina Pietrefitte.
Ma torniamo alla nostra Falanghina. Partiamo dal prototipo 20+1+1, così chiamato perché parte da una vasca della calda vendemmia 2011 lasciata riposare a lungo in via sperimentale per vedere l’evoluzione nel corso degli anni. Noi l’abbiamo provata e dobbiamo dire che è semplicemente perfetta e pimpante come una persona che ha 11 anni che si affaccia al mondo. A parte il prototipo, il nuovo vino, chiamato Lieo, si affaccia in commercio con l’annata 2017: fresca, ricca, con sentori di frutta croccante e di note balsamiche, al palato piena di energia, ampia, lunghissima e con una piacevole e precisa chiusura amarognola. Poco più di tremila bottiglie in commercio per un bianco di sette anni e che sarà replicato solo in alcune annate particolarmente favorevoli.
Insomma, l’ultimo capitolo della bella avventura enologica di Patrizia Iannella, fortemente sorretta dal marito Giorgio Gentilcore, impegnato nel vicino Fortore nella la coltivazione di legumi e delle olive da cui ricava olii extravergine di oliva di pregevole fattura che rientrano nella produzione dell’azienda. Patrizia, agronoma, è una donna tenace. E con tenacia oltre venti anni fa riuscì ad imporsi per dare una svolta alla storia di famiglia, decidendo di coltivare i vitigni storici Aglianico e Falanghina secondo le moderne forme di allevamento, riadattando anche gli antichi sistemi di coltivazione. All’inizio fu scontro, soprattutto con papà Mario. Quel papà che piano piano ha finito di abbracciare pienamente la nuova filosofia, continuando a prendersi cura delle vigne fino al giorno della prematura scomparsa.
Una tradizione che Patrizia ha deciso di rendere protagonista anche a tavola, affiancando alla cantina una bella struttura ricettiva che costituisce una tappa gastronomica sannita da non perdere.
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