di LUCIANO PIGNATARO
Il Pinot nero di Martin Foradori (Hofstatter) e David Adelsheim si sono “sfidati” a Roma in un confronto tra produttori con una comune visione su terroir, singoli vigneti e qualità senza compromessi.
In una fase storica in cui il mondo ripiomba improvvisamente nel ‘900, per non dire ‘800, c’è chi mantiene una visione d’insieme, aperta, colloquiale e curiosa.
Martin Foradori ama la mossa del cavallo, spiazzare non per stupire ma soprattutto per non annoiare.
Ecco allora l’idea di presentare a Roma e a Milano il suo incontro con il Pinot Nero dell’Oregon, mettendosi audacemente in gioco con uno dei produttori più raffinati e pignoli della West Coast. Noi abbiamo goduto del confronto da Armando al Pantheon, la meta obbligata di tutti i politici italiani, una sera con la sala impegnata con qualcosa di decisamente migliore e più interessante: il serrato confronto fra il Pinot dell’Alto Adige e quello dell’Oregon, stato che Martin conosce bene per esserci stato più di una volta e per aver avuto l’idea di investirci concretamente.
Di qua il produttore David Adelsheim delle Chehalem Mountains, Willamette Valley, a sud di Portland (Oregon), di là la tenuta Barthenau della famiglia Foradori Hofstätter, nel cuore dell’altopiano di Mazon, in Alto Adige. Un testa a testa tra due zone di produzione del Pinot Nero, ma con una comune visione sull’importanza del terroir, dei singoli vigneti e della qualità senza compromessi.
Martin Foradori rappresenta la continuazione di una storia lunga quasi due secoli iniziata dopo la seconda metà dell’Ottocento, quando il luminare della chimica organica Ludwig Barth, cavaliere di Barthenau, decide di piantare alcune vigne di Pinot Nero nella tenuta che ancora oggi porta il suo nome. A dare un nuovo impulso a questa sua intuizione sarà, circa un secolo dopo, proprio la famiglia del produttore Termeno.
David Adelsheim è invece un autentico pioniere: fu alla fine degli anni ’60, tra i primi a decidere di coltivare questo vitigno in quest’area. Una vera icona dell’enologia Made in USA.
In degustazione alcune etichette iconiche delle due aziende. Tenuta J. Hofstätter ha presentato i suoi due Cru di Pinot Nero: Vigna S. Urbano 2017 e 2007 e il Vigna Roccolo (solo 1000 bottiglie da vigne di 80 anni coltivate a pergola) dell’annata 2017. A raccontare la filosofia del produttore altoatesino nella produzione di un’altra varietà simbolo del suo territorio, il Gewürztraminer, il Konrad Oberhofer Vigna Pirchschrait 2009, 10 anni sui lieviti fini, solo 1000 bottiglie, prodotto sulla sponda opposta della valle dell’Adige rispetto a Mazon, ovvero nella frazione di Söll, a Termeno.
David Adelsheim ha presentato una selezione delle sue punte di diamante: il Pinot Noir Ribbon Springs Vineyard 2019 (prodotto nella denominazione Ribbon Ridge, perla enologica nella contea di Yamhill) e il Pinot Noir Quarter Mile Lane Vineyard 2019 e 2008 che nasce nell’AVA delle montagne di Chehalem. Della stessa denominazione anche lo Chardonnay Staking Claim. Vera chicca il Pinot Noir Elizabeth’s Reserve (Yamhill County) del 1986.
A parte i due bianchi, che meriterebbero un pezzo a parte, possiamo tirare le somme di qualcosa che in fondo già sappiamo: il Pinot Nero è un vitigno di grande stoffa, capace, quando trattato con il giusto equilibrio, di esprimere eleganza e finezza in un bicchiere cerebrale, che richiede necessariamente l’attenzione di chi beve.
Ho pochi titoli per parlarne, i Pinot dell’Oregon che avevo assaggiato sinora non mi avevano mai meravigliato: ben fatti, ma spesso con sentori di legno un po’ troppo in evidente mentre quelli dell’Alto Adige spesso tendono a giocare con la dolcezza e la esuberanza del frutto risultando così abbastanza monocordi. Questo ovviamente in linea generale.
I rossi di Martin Foradori mi sono sempre piaciuti per questa continua tensione che esprimono, figli di una viticultura chirurgica attenta, praticata su un territorio sicuramente vocato per le escursioni termiche e per la sua purezza assoluta. Il 2007 mi ha fatto pensare come sia necessario aspettarli un poco in più rispetto alle uscite dettate dai tempi commerciali. Una attesa che compensa la pazienza con belle emozioni.
I rossi di David, serviti per primi in base al principio dell’ospitalità, mi hanno davvero colpito e incantato, in particolare il Quarter Mile 2019, finissimo, prezioso, minerale, lungo, con una chiusura perfetta.
Una bella esperienza, decisamente inusuale, un bel confronto che alla fine ci fa riflettere su come sarebbe bello un mondo senza confini. Ma per avere questa aspirazione bisogna essere uomini di cultura, uomini di vigna.
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