L’Odg lombardo pubblica un piano di rilancio che mette giustamente al primo posto i giornalisti autonomi, definiti però “invisibili” e “sfuggenti” quando, invece, la piaga langue alla luce del sole da trent’anni. Inpgi2 docet.
Più di un collega mi segnala un articolo uscito nei giorni scorsi sulla newsletter dell’OdG della Lombardia, il più grande ed importante d’Italia.
Titolo: “Innovare l’Ordine. Si può, si deve”.
Il primo punto di questo condivisibile programma di cambiamento e adeguamento è dedicato al lavoro autonomo (non mi addentro nell’esegesi sul significato tecnico del termine, che ci porterebbe lontano, e vado al sodo): “L’Ordine lombardo – si legge – presterà molta attenzione al mondo dei free lance, che tendono a sfuggire alla sua vista. Ha allo studio un’iniziativa a loro favore, per facilitare l’incontro della domanda di collaborazione da parte delle testate con l’offerta di competenze da parte dei colleghi, nel rispetto di condizioni di lavoro dignitose e retribuzioni eque. Un primo passo, anche per illuminare meglio un mondo finora sfuggente. Il primo compito dell’Ordine è proprio quello di riconoscere chi svolge davvero l’attività di giornalista, un’attività protetta dall’Ordinamento giuridico, che le attribuisce diritti e doveri specifici. Occorre allora che impari a vedere gli “invisibili”, coloro che svolgono la nostra professione ma non hanno un riconoscimento pieno della loro attività. Alcuni di essi sono iscritti ai nostri albi ed elenchi, ma in un Ordine disegnato attorno alla figura dei lavoratori dipendenti, vedono negati i diritti e sfuggenti i doveri“.
In quanto storico sostenitore della causa liberoprofessionale, un proclama come questo non può che farmi piacere.
Ma al tempo stesso mi irrita un po’.
Sì perchè, per come la questione viene posta, pare che i freelance costituiscano una sorpresa, una polvere rimasta nascosta sotto il tappeto della professione, o anche un fenomeno nuovo e strisciante di cui, però, l’Ordine si è, pur con qualche ritardo, accorto.
E invece no.
Tutti sanno benissimo che la piaga è antica di oltre un quarto di secolo, che è sempre ben stata alla luce del sole e sotto gli occhi di chi, se voleva, poteva e doveva avvedersene. Una piaga che si è progressivamente allargata, al punto da divenire un caso sociale e una slavina che, per volume, rischia di travolgere l’intera categoria.
In quest’ottica, capirete perchè sentir dire che i freelence tendono a sfuggire alla vista e che “sono invisibili” mi urta il sistema nervoso. Viene davvero da chiedersi dov’erano i colleghi quando per decenni si sono levati allarmi e appelli per un settore che stava, nella sua esplosione, implodendo.
Leggo poi anche un’altra cosa singolare: “Alcuni di essi (cioè dei freelance, ndr) sono iscritti ai nostri albi ed elenchi“.
Alcuni?
Se sono giornalisti, sono iscritti per forza. Se non lo sono, non sono giornalisti.
Spero non sia la premessa di una opinabile campagna acquisti al grido di “giornalista è chi giornalista fa” tanto caro a certi demagoghi dell’informazione, sulla scia di quella analoga che un anno fa volevano mettere in atto i fresconi dell’Inpgi coi “comunicatori”, per assimilare, o perfino annettere tra i colleghi anche la multicolore frangia di abusivi, sedicenti, aspiranti che avvelena la credibilità del nostro lavoro. Proprio la stessa che, nel preambolo dell’articolo, si dice giustamente sia necessario recuperare.
Intendiamoci: che da parte dell’OdG lombardo e di qualsiasi altra istituzione giornalistica ci sia una qualche resipiscenza verso il nodo insoluto del lavoro giornalistico autonomo è, in sè, una buona notizia a cui plaudire.
Ma il fatto che la presa di coscienza della malattia cronica avvenga quando il paziente medesimo è ormai moribondo e quasi incurabile lo è un po’ meno.
Naturalmente può anche darsi che la realtà sia più complessa e che quanto sta avvenendo non sia che il sintomo di qualcosa di più profondo, tutto interno al non sanissimo sistema del giornalismo italiano.
Non è una novità che, nonostante l’alternarsi correntizio di aderenze storiche e collusioni palesi tra i due soggetti, da tempo l’OdG e le sue articolazioni stiano constatando il fallimento a 360° del sindacato sul fronte del lavoro autonomo. Un lavoro autonomo che l’FNSI non ha in concreto mai rappresentato e che, nel momento in cui i “freelance” sono arrivati a costituire oltre la metà dei giornalisti italiani, è anche il vulnus dal quale sgorga l’inarrestabile emorragia degli iscritti (si calcola che la Federazione riunisca ormai non più del 10% degli autonomi e forse parecchio meno).
Da questa inevitabile presa d’atto nasce l’esigenza di sostituirsi in qualche modo a chi, su quel fronte, ha fallito.
Donde i nemmeno troppo recenti segnali di tentativi di “recupero” che l’Ordine sta, di nuovo giustamente, mettendo in atto.
Nacque dall’OdG, purtroppo ormai oltre dieci anni fa, la battaglia per l’equo compenso non a caso sconfessata e ostacolata, come fosse una sorta di indebita e ostile invasione di campo, dalla miopissima FNSI. Più recenti, ma a un’attenta lettura non troppo diversi, paiono certi velati inviti a far nascere aggregazioni spontaneee tra giornalisti in grado di sostituirsi, di fatto, ai decrepiti “gruppi di specializzazione” federali, fonte ormai di controversie pure giudiziarie all’interno della stessa categoria.
Per una curiosa coincidenza, che forse non è tale, la questione freelance viene poi (ri)sollevata dall’Odg lombardo proprio nel momento in cui monta l’attenzione generale verso il problema della previdenza del giornalismo autonomo e l’avvio delle grandi manovre per la stesura del nuovo statuto dell’Inpgi2 (dal 1/7/22 Inpgi e basta), all’elaborazione del quale i freelance stessi chiedono a gran voce di essere chiamati per difendere le proprie pensioni senza rilasciare mal riposte deleghe in bianco ai soliti noti.
Insomma va bene tutto, anzi l’iniziativa dell’Ordine della Lombardia va benissimo, purchè una risposta concreta arrivi prima che il malato invisibile si sia trasformato in un palese estinto. Ovvero nell’arco di pochi mesi.